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19 settembre 2011

Il diritto di abitazione del coniuge superstite

1. CARATTERI
L’art. 540, II co., c.c. riserva al coniuge del defunto, anche ove concorra con altri chiamati, il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni. Tale attribuzione grava sulla disponibile e, ove questa non sia sufficiente, sulla quota di riserva del coniuge e, nell’eventualità, su quella riservata ai figli.


2. IL DIRITTO DI COMUNIONE DEL CONIUGE IN CASO DI COMPROPRIETA' DELL'IMMOBILE CON TERZI
Nel caso in cui l’immobile adibito a residenza della famiglia sia in comproprietà con terzi, si discute circa le sorti dei diritti che l’art. 540 c.c. riconosce al coniuge superstite.




3. I DIRITTI DI ABITAZIONE DEL CONIUGE E L'IPOTECA

Nel caso illustrato, è sorto un conflitto tra il coniuge superstite e la banca creditrice ipotecaria del figlio del de cuius. Tizia si era opposta alla procedura di espropriazione azionata dalla banca, sostenendo che i diritti di cui al 540, II co, c.c., sorti in suo favore alla morte del marito Tizio, prevalessero sull’ipoteca in favore della banca.
Il giudice di merito aveva risolto la questione in favore di Tizia, argomentando come segue:
1. il conflitto tra coniuge superstite e creditore ipotecario deve essere risolto come se entrambi avessero acquistato da un comune autore;
2. di conseguenza, trovano applicazione le regole sulla priorità della trascrizione;
3. tale soluzione trova conferma nel 2812; I co., c.c. che ritiene non opponibili al creditore ipotecario i diritti di abitazione costituiti sul bene e trascritti successivamente all’iscrizione ipotecaria;
4. alla luce di ciò, il conflitto non può essere risolto in base alla regola degli acquisti dall’erede apparente (534), in quanto il debitore che ha concesso ipoteca è vero erede.
La Cassazione, investita della questione, ha così motivato la soluzione:
1. l’erede acquista il diritto di proprietà sulla casa già gravato dai diritti del 540, II co., c.c.;
2. non si tratta di acquisto da comune autore, in quanto il coniuge legatario ex lege acquista mortis causa direttamente dal de cuius, mentre la banca creditrice acquista per atto tra vivi dall’erede debitore;
3. il conflitto, pertanto, non può essere risolto alla luce della regola della priorità della trascrizione, proprio perché manca l’acquisto dal comune autore;
4. di conseguenza, le norme in tema di trascrizione rilevano ai soli fini della continuità delle trascrizioni e non della soluzione di eventuali conflitti tra gli aventi causa. Analogamente, il 2812 non può operare in quanto anch’esso presuppone l’acquisto dal comune autore;
5. trova applicazione, al contrario, la disciplina degli acquisti dall’erede apparente dal momento che, nel caso di specie, il debitore Tizietto è sì erede, ma non della piena proprietà, in quanto l’immobile acquistato è gravato dai diritti del 540 in favore del coniuge del de cuius, che sorgono automaticamente, quand’anche il de cuius avesse disposto dell’intera proprietà dell’immobile. Pertanto, concedendo ipoteca sulla piena proprietà, l’erede ha disposto di beni estranei alla quota ereditaria pervenutagli.


4. I DIRITTI DEL 540 TRA SUCCESSIONE NECESSARIA E SUCESSIONE LEGITTIMA
Come visto sinora, la disciplina del 540 riguarda la sola successione necessaria. Sebbene si sia a lungo discusso circa la composizione della quota di riserva del coniuge, dottrina e giurisprudenza sembrano oggi concordi nel ritenere che i diritti di uso e di abitazione costituiscano un’aggiunta qualitativa e quantitativa alla quota di legittima spettante al coniuge superstite.

Se il “ruolo” dei legati ex lege del 540 è abbastanza condiviso nell’ambito della successione necessaria, lo stesso non si può dire nell’ipotesi della successione legittima. In sostanza, ci si chiede se, nel calcolo della quota spettante al coniuge ove il de cuius muoia ab intestato, debbano essere compresi o meno il diritto di uso e di abitazione in questione con le stesse modalità viste per la successione necessaria.
In proposito, la Cassazione (Cass. 4329/2000) ha ritenuto, in un primo momento, che essi spettino al coniuge anche nel caso in cui si apra la successione legittima, ma non in aggiunta alla quota calcolata ai sensi degli artt. 581 e 582 c.c.. Questo perché la quota intestata non può essere inferiore a quella spettante per successione necessaria, ma è vero anche che, in assenza di una espressa previsione nella disciplina della successione legittima, essi non possono che essere ricompresi nella porzione assegnata.
Successivamente (Cass. 11018/2008) ha invece sostenuto che nella quota intestata non sono compresi i legati i quali, pertanto, si aggiungono ad essa come nella successione necessaria.


5. DEROGABILITA' DEI DIRITTI DEL 540 (da una lezione del notaio Carlo Carbone presso la Scuola Notarile Napoletana - ottobre 2010)
Il fatto che i diritti del 540 concorrano a determinare la quota necessariamente spettante al coniuge ha indotto alcuni autori ad interrogarsi circa la possibilità di soddisfare il coniuge mediante un legato in sostituzione di legittima o una datio in solutum testamentaria. La risposta al quesito dipende dalla struttura e dalla funzione che si attribuisce a questi diritti.

Dalla funzione espressa, emerge che i diritti sulla casa familiare non hanno un carattere ineliminabile e pertanto sarà possibile attribuire al coniuge un legato alla condizione sospensiva della rinuncia ai diritti del 540, perché è indiscutibile che dopo l’apertura della successione si possa rinunciare a questi diritti, in quanto aventi contenuto patrimoniale. Non sarà invece possibile sostituirli con un legato in sostituzione di legittima in quanto non costituiscono riserva e vengono attribuiti automaticamente.


6. TRASCRIVIBILITA' DEL DIRITTO DI ABITAZIONE DEL CONIUGE
In dottrina si è posto il problema della trascrivibilità del diritto di abitazione in mancanza di un titolo testamentario:
- poiché l’art. 2648 parla di trascrizione del legato e non di legato ex lege, l’acquisto in questione non sarebbe trascrivibile (GAZZONI);
- la norma può essere estesa ad ogni forma di acquisto mortis causa, pertanto è ammissibile la trascrizione.
Aderendo a quest’ultima tesi, si discute circa il titolo in virtù del quale adempiere alla formalità pubblicitaria:
- sentenza di accertamento (PUGLIATTI);
- atto notorio (MESSINEO);
- certificato di denunciata successione (FERRI);
- certificato di morte e nota di trascrizione recante il vincolo di coniugio con il de cuius (GABRIELLI);
- atto di accettazione espressa del legato ex lege (NICOLO’).

21 luglio 2010

Eredità devolute ad associazioni e fondazioni: conseguenze della mancata accettazione beneficiata

Da qualche tempo, negli studi notarili e sui giornali capita spesso di imbattersi in locandine (come quella qui in foto) che sensibilizzano i cittadini a effettuare lasciti e donazioni in favore di enti di ricerca o con finalità benefiche.
Qualora un ente non riconoosciuto, un'associazione, una fondazione e, in generale, una persona giuridica diversa dalla società sia istituita erede in un testamento, l'art. 473 c.c. impone che l'accettazione dell'eredità così devoluta avvega con beneficio d'inventario, a tutela del patrimonio dell'ente e dei suoi eventuali creditori.
A questo punto, sorgono una miriade di questioni che possono essere così sintetizzate:
1) Cosa succede nel caso in cui l'ente non perfezioni un'accettazione beneficiata?
2) Può l'ente decadere dal beneficio d'inventario?
3) Può l'ente perdere il diritto di accettare ai sensi dell'art. 487,II co., c.c.?
4) E' ammissibile un acquisto senza accettazione (accettazione ex lege o presunta) in capo all'ente?

E' pacifico che la perentorietà della disposizione dell'art. 473 c.c. escluda l'efficacia di una forma di accettazione differente. Quanto alle conseguenze di un'accettazione non beneficiata, dottrina e giurisprudenza si sono divise:
-Tesi della sopravvenuta incapacità a succedere e negazione della decadenza dal beneficio d'inventario (Cass. 2617/1979 GROSSO BURDESE, AZZARITI)
La tesi sostiene che la mancata osservanza delle modalità e dei termini previsti dalla legge (cfr. artt. 485 e 487 c.c.) per l'accettazione impedisca l'acquisizione della capacità speciale a succedere da parte della persona giuridica, nel pieno rispetto della tipicità delle cause di incapacità.
Di conseguenza, essendo preclusa alla persona giuridica qualsiasi altra forma di accettazione, non troveranno applicazione le norme relative all'assunzione della qualifica di erede puro e semplice da parte del chiamato possessore che non ottemperi alle formalità previste dall'art. 485 c.c. o del chiamato non possessore che, pur avendo accettato, non rediga l'inventario nei temini dell'art. 487,II co., c.c..
La persona giuridica, dunque, non potrà accettare l'eredità sia nel caso in cui non completi l'inventario nei termini (art. 487, III co., c.c.) sia nel caso in cui non lo compia affatto (art. 487, II co., c.c.).
-Tesi dell'inefficacia o inesistenza dell'accettazione --> l'ente rimane nella posizione di chiamato (rectius delato) all'eredità (Cass. 19598/2004);
La Cassazione del 2004, partendo dalle argomentazioni della precedente sentenza del 1979, fonda il proprio convincimento sul carattere di fattispecie a formazione progressiva dell'accettazione beneficiata e sostiene che l'inosservanza di uno degli elementi di essa ne determini l'inesistenza.
Tuttavia, l'ente mantiene la propria posizione di chiamato all'eredità e, ove sia ancora nei termini, può perfezionare una valida accettazione beneficiata.
-Tesi della decadenza dal beneficio d'inventario e dell'acquisto della qualifica di erede puro e semplice (FERRI, CICU, PRESTIPINO)
Poichè l'art. 489 c.c. garantisce solo gli incapaci dal rischio di perdere il beneficio, si ritiene che la persona giuridica che non ottemperi alle prescrizioni in tema di accettazione subisca la decadenza dal beneficio e, di conseguenza, tutti gli oneri connessi alla qualifica di erede puro e semplice.
-Tesi della perdita del diritto di accettare
Poichè l'unica forma di accettazione consentita per la persona giuridica è quella beneficiata ed essendo questa "incapace d’acquisto puro e semplice, in qualsiasi modo questo sia conseguito, dunque non soltanto per accettazione, ma anche per perdita del beneficio d’inventario", l'inottemperanza delle prescrizioni di legge non comporta la decadenza dal beneficio, bensì la perdita del diritto di accettare.
-Tesi dell'acquisto dell'eredità ex lege (Perlingieri Studio CNN 2008)
Partendo dalla differenza esistente tra accettazione e acquisto, l'Autore ritiene che il mancato rispetto delle formalità dell'accettazione beneficiata non impedisce l'acquisto ex lege dell'eredità e della qualifica di erede puro e semplice. Poichè nessuna norma si riferisce al chiamato inteso solo come persona fisica e poichè non è prevista la decadenza dal beneficio svincolata dall'acquisto, la persona giuridica non accetta ma acquista ex lege in virtù delle norme che regolano l'acquisto senza accettazione da parte del chiamato.

Malgrado la varietà e la pesantezza delle argomentazioni addotte da ciascuna tesi, la prassi sembra preferire le seguenti conclusioni:
- la persona giuridica che non accetti con beneficio di inventario compie un'accettazione inefficace;
- resta chiamata all'eredità e quindi può perfezionare una successiva accettazione;
- non si applicano le norme relative alla decadenza dal beneficio;
-la persona giuridica non può mai essere erede puro e semplice.

11 giugno 2010

La moglie in bianco, l'amante al pepe. Tra risate, equivoci e strafalcioni giuridici, qualche riflessione sulla condizione di contrarre matrimonio.

In una nota commedia all'italiana degli anni '80, il nobile donnaiolo Calogero Patanè in punto di morte convoca il notaio per disporre delle proprie sostanze per il tempo in cui avrà cessato di vivere.

Io sottoscritto Calogero Patanè, Grande Ufficiale della Giarrettiera, nomino erede universale mio figlio Giuseppe detto Peppino ad una condizione, in mancanza della quale tutta l'eredità andrà a mia figlia: che mio nipote Gianluca figlio di Peppino si sposi ed abbia un figlio entro un anno esatto dalla mia morte, dando così prova della virilità che ha sempre distinto il nostro casato”.

Il notaio Brindisi che ha ricevuto il testamento è al riparo dall'art. 28 L.Not.?

Probabilmente si, perché la condizione coartante riguarda una persona diversa dall'istituito. Ma se il cavalier Patanè avesse condizionato l'istituzione di erede al matrimonio dello stesso Peppino, il notaro Brindisi non sarebbe passato indenne dall'ispezione notarile...

In una recente sentenza (Cass. Civ. Sez. II, 15-04-2009, n. 8941) la Cassazione ha, infatti, affermato il seguente principio di diritto:
"La condizione, apposta ad una disposizione testamentaria, che subordini la efficacia della stessa alla circostanza che l'istituito contragga matrimonio, è ricompresa nella previsione dell'art. 634 c.c., in quanto contraria alla esplicazione della libertà matrimoniale, fornita di copertura costituzionale attraverso gli artt. 2 e 29 Cost. Pertanto, essa si considera non apposta, salvo che risulti che abbia rappresentato il solo motivo ad indurre il testatore a disporre, ipotesi nella quale rende nulla la disposizione testamentaria".
Si tratta di una pronuncia di rottura, in cui la Cassazione assume una posizione tranchant rispetto all'atteggiamento decisamente più possibilista (e a mio parere più equilibrato) emerso in numerose sentenze precedenti.
Riporto i passaggi logici fondamentali che emergono dalla motivazione in diritto:
1. il principio di libertà di testare trova un limite nelle ipotesi di impossibilità e illiceità della condizione apposta;
2. in ossequio al favor testamenti, l'art. 634 c.c. prevede che la condizione illecita o impossibile si consideri non apposta;
3. sebbene l'art. 636 c.c. preveda l'illiceità della condizione che vieta le prime nozze o le ulteriori, la giurisprudenza di legittimità ha sempre interpretato la norma restrittivamente;
4. di conseguenza, solo il divieto assoluto di nozze è considerato limitativo della libertà del soggetto, che non risulta invece coartata nel caso in cui "la condizione non sia dettata dal fine di impedire le nozze, ma preveda per l'istituito un trattamento più favorevole in caso di mancato matrimonio, e, senza per ciò influire sulle relative decisioni, abbia di mira di provvedere, nel modo più adeguato, alle esigenze dell'istituito, connesse ad una scelta di vita che lo privi degli aiuti materiali e morali di cui avrebbe potuto godere con il matrimonio" (Cass., sent. n. 2122 del 1992);
5. "nella medesima prospettiva, è stata considerata lecita la condizione che lasci un ampio margine di scelta all'istituito, in modo da non porre a suo carico una limitazione psichica intollerabile, e si è esclusa tale intollerabilità nella ipotesi della condizione, apposta dal testatore alle attribuzioni fatte all'erede, di non contrarre matrimonio con persona determinata, o quella di contrarre matrimonio (v. Cass., sent. n. 150 del 1985), ovvero di contrario con persona appartenente alla stessa classe sociale dell'istituito (v. Cass., sent. n. 102 del 1986)";
6. tuttavia, l'illiceità della condizione di contrarre matrimonio non può essere valutata sulla base di elementi soggettivi, come la ricognizione della volontà non coartante del testatore;
7. l'illiceità non deriva da un'interpretazione estensiva dell'art. 636 c.c., ma dall'art. 634 c.c.;
8. detta condizione, infatti, a prescindere dalle intenzioni del de cuius, si pone "in contrasto con norme imperative e con l'ordine pubblico poichè limita la libertà dell'individuo in merito alle fondamentali scelte di vita, in cui si esplica la sua personalità ai sensi dell'art. 2 Cost.";
9. la norma costituzionale, infatti, trova diretta applicazione ai rapporti tra privati quando riguarda i diritti fondamentali della persona.
La posizione, dunque, è categorica: se non ha alcun rilievo l'intenzione del testatore, non vi è più alcuno spazio di ammissibilità. Pertanto, anche se viene lasciato all'istituito il più ampio margine di scelta, la coartazione sussiste poichè "la pur indiretta coartazione della volontà reca, di per sé, vulnus alla dignità dell'individuo, nella misura in cui l'alternativa di fronte alla quale lo colloca la apposizione, da parte del testatore, della condizione testamentaria possa indurlo, con la prospettiva di un vantaggio economico, ad una opzione che limita la libera esplicazione della sua personalità".


7 giugno 2010

Revocabilità dei soli elementi accidentali contenuti in un testamento

Il caso: Tizio ha confezionato un testamento in cui ha previsto una disposizione del seguente tenore: “Istituisco erede di tutto il mio patrimonio mio figlio Caio, studente universitario, sotto la condizione sospensiva che consegua la laurea entro il ...
In un secondo testamento vuole revocare la sola condizione apposta all'istituzione di erede.

Può farlo?

Il legislatore prevede espressamente che il testamento sia revocabile in ogni momento e che tale facoltà sia irrinunciabile (cfr. artt. 587 e 679 c.c.). Tuttavia, si discute se la revoca possa avere ad oggetto i soli elementi accidentali contenuti nel testamento, indipendentemente dalla disposizione cui accedono.

Teoria negativa:
1.la previsione dell'art. 679 c.c. riguarda le sole disposizioni testamentarie e la condizione non lo è;
2.l'eliminazione di un elemento accidentale della disposizione testamentaria non configura una revoca in senso tecnico, ma piuttosto una sostituzione di un negozio condizionato con un successivo negozio puro;
3.di conseguenza, tale eliminazione-sostituzione non può essere realizzata con la revoca per atto pubblico (art. 680 c.c.), ma solo con un successivo testamento(TALAMANCA), dal momento che un atto inter vivos non può contenere disposizioni di ultima volontà.

Teoria positiva:
1.l'autonomia testamentaria consente al testatore di revocare il testamento in ogni sua parte;
2.non vi sono espressi divieti in merito;
3.il legislatore ha espressamente previsto i casi in cui la revoca è esclusa (cfr. art. 256 c.c.);
4.per quanto riguarda l'ammissibilità di una “revoca” solo per successivo testamento (supra sub 3.), l'art.680 c.c., in tema di revoca parziale, non fa alcuna distinzione di portata o di efficacia a seconda che la revoca sia espressa nella forma dell'atto pubblico o del successivo testamento (CARAMAZZA).

In definitiva, nel caso in cui si opti per la prima tesi, Tizio potrà eliminare la condizione sospensiva apposta all'istituzione di erede solo inserendo nel successivo testamento una istituzione di erede “pura”; ove, invece, si aderisca alla seconda ricostruzione, Tizio potrà inserire nel testamento una clausola del seguente tenore “Revoco la condizione apposta all'istituzione di erede in favore di mio figlio contenuta nel mio testamento ...”.

21 aprile 2010

Quando la morte mi chiamerà.... Reading collettivo di testamenti ed epigrafi

Data la mia macabra passione scientifica per testamenti e affini, non posso mancare a questo evento:
L'associazione culturale LIBERINCIPIT e LA TANA
presentano "Quando la morte mi chiamerà... forse qualcuno protesterà" - reading collettivo di Testamenti ed Epigrafi
Barletta, 22 aprile 2010 - Sala Rossa del Castello Svevo

<"Quando la morte mi chiamerà... forse qualcuno protesterà" - Così recita l'incipit di una delle più famose canzoni di Fabrizio De Andrè: "Il testamento" Prendendo spunto dallo spirito dissacrante e ironico del ...grande Faber abbiamo pensato di dedicare un reading collettivo ai testamenti, le ultime volontà, tutto quello che vorremmo fosse fatto dopo la nostra morte, e che non sapremo mai se sarà eseguito. Desideri a volte legittimi, altre improbabili, altre ancora addirittura deliranti, tratti da veri testamenti si alterneranno a epigrafi funebri, epitaffi e estemporanee richieste, che ci faranno insieme ridere e riflettere. >>

Clicca qui per leggere la recensione pubblicata su Repubblica.

15 aprile 2010

L'attribuzione dell'usufrutto universale. Eredità o legato?

Cass. Civ., sez. II, 24 febbraio 2009, n. 4435

Il quesito
L'attribuzione testamentaria dell'usufrutto universale individua un'istituzione di erede oppure un'attribuzione a titolo di legato?

Il caso in breve
Tizio redige un testamento nel quale lascia alla moglie Tizia e ai nipoti rispettivamente l'usufrutto e la nuda proprietà del proprio patrimonio.
Alla sua morte, Tizia, ritenendo che il testamento del marito non contenesse alcuna valida istituzione di erede e che le disposizioni in esso contenute fossero lesive della quota di legittima, chiede al Tribunale di accertare la propria qualità di erede, nonché la rinunzia al legato di usufrutto, con conseguente attribuzione della quota di legittima. Il Tribunale accoglie la domanda e accerta la qualità di erede in capo alla sola Tizia.
I nipoti propongono appello avverso detta sentenza, ottenendo la riforma dell'impugnata decisione e l'accertamento della propria qualità di eredi unitamente a Tizia, rispettivamente nell'usufrutto e nella nuda proprietà.
Tizia propone ricorso in Cassazione eccependo, inter alia, la violazione dell'art. 588.

Le posizioni dottrinali
Il carattere universale o particolare dell'attribuzione dell'usufrutto generale sui beni del de cuius è stata oggetto di accesi dibattiti in dottrina sin dall'epoca anteriore alla riforma del diritto di famiglia, allorchè al coniuge superstite spettava il diritto di usufrutto sui 2/3 del patrimonio del defunto.
A seguito della riforma, sebbene sia pacifica l'attribuzione della qualità di erede al coniuge superstite alla luce dell'art. 536 c.c., la questione sopravvive nella circostanza in cui un testamento contenga una disposizione attributiva dell'usufrutto sull'intera eredità o su una quota di essa.
La necessità di dare una precisa connotazione a siffatta clausola testamentaria non rileva solo ai fini della differente disciplina che presiede all'istituzione di erede rispetto al legato. L'aspetto più problematico riguarda, infatti, il rischio che una disposizione mediante la quale si attribuisca l'usufrutto generale – da un lato – e la nuda proprietà – dall'altro – possa configurarsi quale strumento per aggirare il divieto di sostituzione fedecommissaria.
La sentenza in oggetto si inserisce, dunque, in una storica contrapposizione che vede, da una parte, la tesi di coloro che configurano l'attribuzione dell'usufrutto universale come un legato (NICOLO', STOLFI, GANGI e, nella giurisprudenza di merito, App. Cagliari, 14 ottobre 2003; Trib. Napoli, 2005; Trib. Bologna, 6 ottobre 2008) e, dall'altra, la posizione di quanti ne affermano la natura universale (CICU, FERRI e, tra le pronunce di legittimità, Cass. Civ., 12 settembre 2002, n. 13310).
La tesi della natura particolare dell'attribuzione si fonda sui seguenti argomenti:
1)l'usufruttuario dell'eredità, a differenza dell'erede, non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari ultra vires,ma è obbligato a pagare per intero o pro quota le annualità e gli interessi dei debiti o dei legati da cui l'eredità stessa risulti gravata (art. 1010 c.c.);
2)il diritto dell'usufruttuario rappresenta un quid novi rispetto alla posizione giuridica del de cuius, nella quale, al contrario, subentra l'erede;
3)il carattere di temporaneità dell'usufrutto si pone in contrasto con il carattere di perpetuità proprio della qualità di erede (principio semel here semper heres);
4)l'usufruttuario, al contrario dell'erede, non succede automaticamente nel possesso dei beni ereditari, ma è tenuto a farne richiesta al nudo proprietario (art. 1002 c.c.).
Malgrado ciò, autorevole dottrina (FORCHIELLI – ANGELONI) sostiene che l'usufruttuario di eredità abbia comunque titolo per partecipare alla divisione ereditaria.
La tesi della natura universale della disposizione confuta gli argomenti sopra esposti sostenendone, ex art. 588 c.c., l'idoneità a comprendere l'universalità o una quota dei beni del testatore.
Se, dunque, il testatore ha inteso assegnare l'usufrutto universale quale quota del patrimonio, si deve ravvisare in questa disposizione la medesima potenzialità espansiva del titolo ereditario a ricomprendere l'universum ius, qualora, ad esempio, il testatore abbia ignorato alcuni beni della massa.

La posizione della Suprema Corte
Nella sentenza in oggetto, la Corte di Cassazione muove dal medesimo presupposto su cui si fonda la tesi da ultimo citata, utilizzando l'argomento dell'art. 588 c.c. non solo per attribuire carattere universale all'attribuzione di usufrutto universale, ma anche per fugare i dubbi relativi alla possibile violazione del divieto di sostituzione fedecommissaria.
A tal proposito, la Corte sottolinea la necessità di indagare “effettiva volontà del "de cuius", attraverso l'analisi delle finalità che il testatore intendeva perseguire, oltre che attraverso il contenuto testuale della scheda testamentaria”.
Se, conformemente all'art. 588, II co., c.c., risulta che il testatore abbia inteso attribuire il diritto quale quota del proprio patrimonio, si dovrà riconoscere all'usufruttuario la qualifica di erede e, di conseguenza, escludere la sostituzione fedecommissaria allorquando l'attribuzione contestuale di usufrutto e nuda proprietà sia a) diretta e simultanea e non in ordine successivo; b) i chiamati non succedano l'uno all'altro, ma direttamente al testatore; c) la consolidazione tra usufrutto e nuda proprietà costituisca un effetto non della successione, ma della vis espansiva della proprietà.
UPDATE 15 dicembre 2010: la Corte di Cassazione, con la sentenza 1557/2010, ha nuovamente modificato il proprio orientamento in merito sostenendo che "Ove il testatore attribuisca il solo diritto di usufrutto, il beneficiario non succede in universum iuss del defunto e, pertanto, non acquista la qualità di erede; nei suoi confronti, pertanto, non sussiste litisconsorzio necessario in sede di giudizio di divisione tra coeredi."

19 marzo 2010

La capacità di succedere per testamento del figlio adottivo di persona vivente al tempo dell’apertura della successione

In occasione della festa del papà (!), ripropongo un articolo che ho pubblicato qualche tempo fa su Altalex.

...quando i figli non so piezz e' core...

La capacità di succedere per testamento del figlio adottivo di persona vivente al tempo dell’apertura della successione: residui di ineguaglianza nel codice civile

Sommario: La capacità in generale - Capacità giuridica - Capacità d’agire - La “capacità” del non nato - Il problema del figlio adottivo

La capacità in generale
Per tradizionale insegnamento, il concetto di individuo implica necessariamente quello di capacità. Capacità intesa come conquista giuridica, come parametro dell’evoluzione di un ordinamento, come attributo della persona o, meglio ancora, come carattere fondamentale della persona. Concetti, questi, che si apprendono sin dai primi approcci con il diritto e che rivestono un ruolo chiave nella strutturazione e nella comprensione del nostro ordinamento giuridico.

Il ruolo – ideologico e giuridico – della capacità si cristallizza, tuttavia, in due sole norme del codice civile, gli articoli 1 e 2. Ma chi ben conosce il nostro sistema positivo non ha difficoltà nell’affermare che l’intera materia privatistica risulta permeata da tale concetto, al punto che si è autorevolmente sostenuto che l’impianto del codice civile sia di natura personalistica. La persona, dunque, si pone come fulcro di un ordinamento che su di essa si fonda e che in funzione di essa si evolve.

La disciplina della capacità, pertanto, prende solo avvio dalle due norme di apertura del codice, che pur definendola semplicemente nelle sue manifestazioni giuridiche, la impongono nell’ordinamento come diretta promanazione del principio di uguaglianza, quasi fosse una sorta di dictat imprescindibile del nostro sistema positivo. Essa, poi, si arricchisce sfogliando le pagine del codice civile, manifestandosi come archetipo di ogni espressione giuridica del soggetto(1).

Capacità giuridica
Come giustamente affermato, “l’individuo, quale entità psico-fisica che vive nel mondo sociale, dà vita all’ordinamento giuridico, ma da esso è poi qualificato, quale soggetto di diritto, con il collegamento automatico tra capacità giuridica e nascita”(2). L’art. 1 del codice civile, infatti, attribuisce a qualsiasi individuo, per il “semplice” fatto di esser venuto al mondo, la capacità giuridica (intesa come l’idoneità ad essere titolare di diritti e obblighi(3)) e ne subordina l’acquisto al momento della nascita (art. 1, II co., c.c.)(4). Ciò vuol dire che, dal momento stesso in cui viene al mondo, la persona fisica si manifesta come attore nella realtà giuridica(5), in quanto dotata di una “qualità astratta e a priori di carattere generale, che coincide con la soggettività”(6) che lo rende “potenzialmente destinatario di tutte le norme dell’ordinamento”(7).


Capacità d’agire
Capacità giuridica, però, significa che l’uomo esiste giuridicamente, non che esso sia capace di incidere autonomamente sulla propria sfera giuridica. Tale ulteriore capacità, detta capacità d’agire, si acquista, per espressa previsione dell’art. 2 c.c., con la maggiore età.

La capacità d’agire, quindi, si lega al momento fattivo della personalità, al comportamento, alle manifestazioni esterne dell’esistenza giuridica del soggetto. Un’attitudine, questa, che non può essere qualificata come qualità generale del soggetto(8) né come suo requisito essenziale, anzitutto perché essa, in situazioni patologiche(9), potrebbe anche non essere mai acquistata dal soggetto, quanto poi per il fatto che essa risulta attribuita dalla legge, che presume raggiunta, con la maggiore età, un’adeguata maturità del soggetto, che gli consente di agire in piena autonomia nella realtà giuridica.

Ad ulteriore riprova della profonda differenza tra le due capacità, si deve considerare, altresì, quanto variegata risulti l’entità dell’incapacità d’agire per esempio del minore, dell’emancipato, dell’interdetto, dell’inabilitato, del fallito, del beneficiario di amministrazione di sostegno. A ciò si aggiunga la previsione legislativa di determinate capacità in capo al soggetto, pur legalmente incapace per minore età, quale quella di contrarre matrimonio, di riconoscere il figlio, di svolgere attività lavorativa.

Un quadro, quindi, estremamente poliedrico, che evidenzia appunto l’impossibilità di attribuire alla capacità d’agire connotati analoghi a quelli della capacità giuridica, la quale, proprio per il suo carattere universale e per l’importante substrato ideologico, non può che configurarsi come valore fondante la persona stessa.

Il soggetto incapace necessita, dunque, dell’intervento - più o meno incisivo a seconda dell’entità dell’incapacità - di un soggetto che lo possa sostituire o coadiuvare nella gestione dei suoi interessi.

Il quadro così tracciato – seppur sommariamente – vede una singolare eccezione in ambito successorio, laddove si registra una particolare capacità in capo al nascituro, ovvero quella di ricevere per testamento, stabilita dall’articolo 462 c.c..

In realtà, tale previsione del codice civile, lungi dal costituire una deroga al regime legale della capacità di agire, prevede semplicemente che il figlio concepito di persona vivente al tempo dell’apertura della successione possa essere destinatario di disposizioni testamentarie, subordinando, pertanto, il perfezionamento della fattispecie attributiva al momento della nascita. In sostanza, ciò che si riconosce al concepito non è, dunque, un’eccezionale capacità, ma piuttosto “taluni diritti a carattere patrimoniale”10, che ricevono dall’ordinamento una tutela preliminare, finalizzata alla conservazione della situazione di aspettativa in vista del suo perfezionamento, che si realizzerà, poi, con la nascita.

Si tratta, dunque, di una fattispecie a formazione progressiva che, proprio alla luce del limite dettato dalla norma dell’art. 1, non può che completarsi con la venuta ad esistenza del soggetto. Prima di allora, così come non vi è soggetto, parimenti non vi è un diritto.

La “capacità” del non nato
Meritevole di attenzione è, poi, la disposizione dell’ultimo comma dell’art. 462, la quale prevede che anche il figlio non concepito di persona vivente al momento dell’apertura della successione possa ricevere per testamento. Una fattispecie, questa, alquanto singolare, dal momento che sembrerebbe creare un centro di diritti – o meglio un centro di aspettativa di diritto – nella completa assenza di soggetto. Se, infatti, nella prima ipotesi non vi è ancora una persona, atteso che la creatura concepita non è che una persona in potenza, nel caso de quo tale potenzialità difetta completamente, dal momento che è lo stesso concepimento ad essere futuro ed eventuale.

Alcuni autori hanno sostenuto che l’intento legislativo sia stato quello di equiparare la situazione del concepito e del non concepito sul piano della capacità di ricevere per testamento, sebbene le due fattispecie siano ontologicamente differenti.

In realtà, tale ricostruzione non può essere accolta, come sostiene quella parte della dottrina(11) che vede nella fattispecie dell’art. 1 c.c., cui fa da corollario quella del 462, una norma scritta per i soli nascituri concepiti. Si deve ritenere, pertanto, che “la norma opera una differenziazione tra le due categorie di nascituri, i concepiti e i non concepiti, riservando soltanto ai primi, considerati probabilmente nella loro essenza di spes homini, la possibilità di un’acquisizione di diritti subordinatamente alla nascita”(12).

Alla luce di ciò, la previsione dell’ultimo comma, non può che essere letta nel senso di norma eccezionale, caratterizzata da una struttura condizionata e volontaria, in quanto rimessa alla volizione del testatore.

La conseguenza di siffatta ricostruzione risiede, dunque, nel fatto che solo al nascituro concepito si addice una fattispecie in itinere, che trova una tutela preliminare alla nascita, ma che subordina comunque ad essa il suo perfezionarsi. E questo assunto troverebbe conferma nella considerazione che “soltanto per i concepiti sono previsti nel sistema diritti riconducibili alla legge e non alla volontà di un soggetto (testatore o donante)”(13).

Fatta questa premessa, è ragionevole pensare che la previsione dell’ultimo comma del 462 non sia una mera puntualizzazione del legislatore, ma piuttosto la precisa volontà di includere nel quadro normativo un soggetto (laddove il termine è volutamente improprio e atecnico), quale il nascituro non concepito, che altrimenti non vi sarebbe rientrato(14).

Il problema del figlio adottivo
Mettendo momentaneamente da parte queste considerazioni squisitamente dommatiche, preme sottolineare un aspetto per così dire pratico della norma. E’ a questo punto che si innesta il tema che si vuole trattare, dal momento che la formulazione della norma lascia intendere che i figli che saranno adottati dalla stessa persona vivente non siano contemplati. Ci si pone, infatti, il dubbio se la locuzione “figli non concepiti” di cui all’ultimo comma dell’art. 462, possa ritenersi estensivamente applicabile anche ai figli che, sebbene non concepiti, saranno adottati dalla persona.

Lungi dal trattarsi di un mero esercizio di pensiero, il tema risulta di scottante attualità, sebbene sembri ignorato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, specie da quella costituzionale. Ciò che si prospetta, infatti, è che la norma sia passibile di sindacato di costituzionalità laddove non si ammetta siffatta estensione(15).

Il tema ha lasciato la dottrina divisa tra coloro che ritengono ammissibile l’estensione sulla base di una pretesa “identità di ratio”(16) tra le due fattispecie e quanti, al contrario, negano l’equiparazione alla luce di due convincenti motivazioni.

Volendo condurre il discorso su un binario prettamente civilistico, tralasciando cioè temporaneamente ogni considerazione di natura costituzionalistica, esistono diversi argomenti che fanno pensare alla necessità di una stretta interpretazione della norma de qua.

Anzitutto, come già detto supra, si deve osservare che la previsione di una deviazione dalle regole in tema di capacità giuridica nell’ambito della successione testamentaria si configura come disposizione di carattere eccezionale e, quindi, di strettissima applicazione(17). L’inciso “non concepiti” sembra, infatti, escludere qualsivoglia estensione del concetto biologico di filiazione. Eppure, da ciò non si può trarre la certezza di una volontà legislativa nel senso della esclusione dei figli adottivi, sebbene l’utilizzazione delle tecniche interpretative e, in particolare, dell’argumentum e contrario(18) farebbero pensare proprio alla strada più restrittiva.

È noto, infatti, che ubi lex voluit dixit, ubi non voluit tacuit. Pertanto, nel caso di specie, non si potrebbe tentare una lettura estensiva della norma, né, a fortiori, una analogica, stante l’eccezionalità della statuizione normativa. Tuttavia, ragioni di opportunità e di sopravvivenza della norma stessa, atteso anche il rischio di illegittimità costituzionale, deporrebbero per una diversa ricostruzione, in virtù della quale la mancata inserzione di siffatto riferimento parrebbe più una dimenticanza che un’espressa preclusione, probabilmente dettata anche dal contesto storico-culturale in cui nasceva la disposizione codicistica.

L’altro argomento, sicuramente più spinoso da superare, è quello sistematico, che escluderebbe l’estensione dell’eccezionale capacità di succedere per testamento alla luce del combinato disposto dell’articolo di cui si tratta e della fattispecie dell’art. 631 c.c., in virtù della quale non è ammissibile che la scelta del beneficiario di un lascito testamentario sia effettuata da persona terza rispetto al testatore. Nel caso di specie, infatti, pur a voler ammettere l’ammissibilità dell’estensione, di fatto si verrebbe a creare il caso – palesemente contrario alla legge - di una disposizione mortis causa il cui beneficiario viene individuato dall’adottante(19).

Se ciò è pacifico nel caso di adozione di persone maggiori di età, laddove il profilo della scelta da parte dell’adottante è di manifesta evidenza, il dubbio permane nel caso di adozione del minore.

Il dato ermeneutico, dunque, non offre margini di soluzione alla questione, atteso che sia l’argomento letterale che quello sistematico appaiono solidi ed incontestabili.

Senza dubbio, il discorso vede aperture in senso positivo laddove ci si muova sul terreno costituzionale. Il tema della totale equiparazione tra figli biologici e figli adottivi è, infatti, squisitamente costituzionalistico, atteso che una mancata applicazione di quello che è ormai un assioma giuridico confliggerebbe con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost..

È noto, infatti, che la legge equipari a tutti gli effetti di legge il figlio adottivo a quello biologico legittimo, così come si legge nell’art. 27, L. 4 maggio 1983, n. 184, in tema di adozione dei minori. L’adottato, per effetto della sentenza di adozione, diventa figlio legittimo degli adottanti, ne riceve e trasmette il cognome e recide ogni rapporto con la famiglia di origine, fatta eccezione per i divieti matrimoniali.

Alla luce di tale norma, la preclusione riguardante gli adottati in tema di successione testamentaria risulta, oltre che iniqua, del tutto arbitraria, in quanto determina una assurda discriminazione tra i figli di una stessa persona. Si potrebbe, infatti, verificare il caso di una disposizione testamentaria a favore dei figli non concepiti di una persona vivente, la quale successivamente adotta un minore e, nello stesso tempo, genera un figlio biologicamente. In tale situazione, si manifesta appieno il limite di una mancata estensione della fattispecie ai figli adottivi, sebbene l’argomento del 631 sia difficilmente superabile.

La questione, poi, si complica nel momento in cui si affronta il tema sul piano notarile e si ipotizza il caso di un notaio chiamato a ricevere un testamento pubblico contenente una disposizione a beneficio di eventuali figli, anche adottivi, di persona vivente all’apertura della successione.

Il professionista si troverà, infatti, di fronte al dubbio di ammettere una previsione testamentaria di siffatto tenore, atteso che, alla luce di quanto dianzi esposto, incorrerebbe nel rischio di includere nella scheda testamentaria una disposizione in incertam personam.

Uno spiraglio sembra profilarsi allorché si osservi che la norma dell’art. 536, II co., c.c., sulla scia della sopraccitata legge sull’adozione, equipara i figli adottivi a quelli legittimi.

Un’interpretazione volta ad escludere tale – pacifico – assunto sarebbe, pertanto, contraria sia al dato sistematico che, come è noto, si pone come cardine nell’attività ermeneutica del codice civile, sia a quella regola della teoria dell’interpretazione che impone di leggere le norme in modo tale che abbiano senso, in ossequio al principio di conservazione del contratto.

Ora, è evidente che il testamento non sia un contratto, ma piuttosto un negozio, ma nulla osta a che tali regole trovino applicazione all’affine ambito negoziale.

Alla luce di quanto detto, tuttavia, sembra non potersi pervenire ad una soluzione definitiva. Entrambe le strade profilate, per quanto suggestive e fondate su argomenti difficilmente superabili, espongono l’interprete e ancor più il professionista del diritto al rischio, nell’un caso, della censura di cui all’art. 631 e, nell’altro, dell’incostituzionalità della disposizione.

Quid iuris?

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1 GAZZONI, Manuale di diritto privato. Napoli, 2006, nell’introduzione all’opera parla appunto del diritto privato come di diritto dell’uomo che addirittura con l’uomo stesso si identifica.

2 Così autorevolmente RESCIGNO, Capacità giuridica, in Digesto, 4^ ed., 1, citato da GAZZONI, cit., 121.

3 La definizione, condivisa dalla dottrina maggioritaria, si ritrova in RESCIGNO, cit., 1; BIANCA, La norma giuridica. I soggetti. Milano, 2000, 213; TORRENTE, Manuale di diritto privato. Milano, 1999, 58.

4 La fattispecie prevista dall’art. 1 c.c. è stata ricostruita dalla dottrina o come fattispecie condizionata o come fattispecie a formazione progressiva. Per un quadro sintetico del tema si vedano, nel primo senso, la Relazione della Commissione Parlamentare al I libro del codice civile. Roma, 1937, 734; Cass. 1 agosto 1958, n. 2844, in Foro it. Mass., 1958, 58; CARNELUTTI, Nuovo profilo dell’istituzione dei nascituri, in Foro pad., 1954, IV, 57 e ss.; MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale. Milano, 1959, I, 216. Quanto alla seconda ricostruzione si vedano SANTORO-PASSARELLI, Su un nuovo profilo dell’istituzione dei nascituri, in Foro pad., 1954, III, 65; COVIELLO, Capacità di succedere a causa di morte, in Enc. Dir., vol. VI. Milano, 1960, IV, 54-72. Tutti citati da TRINCHILLO, Riflessioni sui nascituri e sull’articolo 715 c.c., in Riv. not., 2000, III, pt. 1, 621-638.

5 E’ questo il perno della teria cd. Organica, che appunto assegna questo ruolo portante alla persona nell’ordinamento, contrariamente alla teoria normativa di Kelsen, che prescinde dal soggetto nel mondo del diritto. Fa cenno a siffatte ricostruzioni GAZZONI, cit., 121.

6 FALZEA, Capacità, in Enc. Dir., VI, 10.

7 GAZZONI, cit., 121.

8 Cfr. STANZIONE, Capacità, in Enc. Giur. Treccani, V, 7, riporta l’idea del Falzea.

9 Cfr. art. 416 c.c., il quale consente di presentare istanza di interdizione nell’ultimo anno di minore età del soggetto.

10 Così GAZZONI, cit., 122.

11 Si veda per tutti TRINCHILLO, cit.. Contra, Commento all’art. 1 c.c., in Commentario breve al codice civile, a cura di G. Cian e A. Trabucchi. Padova, 2007, 65, in cui si propone una lettura della norma volta ad equiparare i concepiti ai non concepiti, anche nelle altre disposizioni che li contemplano. Nello steso senso sembrerebbe CAPOZZI, cit., 106.

12 Così TRINCHILLO, cit..

13 Così chiaramente TRINCHILLO, cit..

14 In questa sede si è volutamente preferito fare solo un cenno a questa interessante ricostruzione della eccezionale capacità del nascituro, per evitare di deviare dal tema principale del contributo. Tuttavia, per approfondire, si veda TRINCHILLO, cit..

15 Per una panoramica completa per quanto succinta della questione si veda CAPOZZI, Successioni e donazioni. Milano, 2002, 116.

16 CAPOZZI, cit., 113, riferisce che la tesi estensiva viene sostenuta da GIANNATTASIO, Delle successioni. Disposizioni in generale. Successioni legittime, in Comm. Cod. civ., Torino, 1971, 53; MESSINEO, cit., 44; GROSSO, BURDESE, Le successioni. Parte generale. Torino, 1977, 108; GANGI, La successione testamentaria. Milano, 1952, 292. Al contrario, la tesi negativa, sostenuta dallo stesso CAPOZZI, raccoglie il consenso di CICU, Successioni per causa di morte. Parte generale. Milano, 1961, 80 ss.; FERRI, Successioni in generale, artt. 456-511, in Comm. Cod. civ. a cura di Scialoja-Branca. Bologna, 1970, 147-148; AZZARITI, MARTINEZ, Successioni a causa di mote e donazioni. Padova, 1979, 27; COVIELLO L. jr., Capacità di succedere a causa di morte, in Enc. Giur., VI. Milano, 1960, 126 ss..

17 Così si legge nel commento all’art. 1 del codice civile in Commentario breve al codice civile, diretto da G. Cian e A. Trabucchi. Padova, 2007, 65. Vds. anche Cass. 3467/73.

18 Per un puntuale riferimento all’argomento interpretativo cui si fa cenno nel testo si veda F. MODUGNO, Appunti per una teoria dell’interpretazione. Torino, 1997, ….

19 CARRESI, Nascituri, in Noviss. Dig. It., XI. Torino, 1965, 16 ss..

1 febbraio 2010

Il testamento nuncupativo

Sull'ultimo numero di Gazzetta Notarile (n. 10/12 del 2009), il mio primo "vero" saggio cartaceo.
Senza nulla togliere alle pubblicazioni informatiche, non posso nascondere una certa soddisfazione...

Emanuella Prascina, Il testamento nuncupativo, in Gazzetta Notarile, 2009, 10-12, pp. 527 ss.
Leggilo sul mio pageflip a pagina 88.