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4 luglio 2010

Utili di periodo: coprono le perdite?

Nei post precedenti ho cercato di segnalare gli aspetti più controversi delle riduzioni reali del capitale (-K, -P).
Oggi vorrei approfondire una questione che riguarda, invece, le riduzioni nominali: l'utilizzabilità degli utili di periodo a copertura delle perdite.
Ritornando brevemente su quanto già detto, la riduzione nominale del capitale per perdite è, a differenza di quella reale, un'operazione meramente contabile con la quale si adegua il capitale al patrimonio netto eroso dalle perdite intervenute.
E' ormai pacifico sia in dottrina che in giurisprudenza (cfr. Cass.121347/1999) che le perdite debbano essere calcolate al netto delle riserve: in buona sostanza, le perdite potranno intaccare il capitale sociale solo dopo aver inciso sulle riserve iscritte in bilancio.
Al contrario, fortemente discussa è la possibilità di riconoscere anche agli utili di periodo questa funzione di protezione del capitale.
Per utile di periodo deve intendersi quell'utile che è in fase di formazione in quanto non risultante da un bilancio d'esercizio regolarmente approvato, bensì da situazioni patrimoniali infrannuali.
Secondo la tesi più rigorosa, sostenuta dalla giurisprudenza di merito negli anni '90, gli utili di periodo non sarebbero utilizzabili a copertura delle perdite, essendo "poste contabili non consolidate" (CUPINI) e quindi incompatibili con il criterio di prudenza nella redazione del bilancio che si evince dall'art. 2424 bis c.c..
Di contrario avviso è la dottrina dominate, suffragata oggi anche dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 5740/2004), la quale ritiene che il divieto di distribuzione di utili non ancora conseguiti e attestati dal bilancio di esercizio (art. 2433 c.c.) non deve essere confuso con l'utilizzazione degli stessi. Inoltre, un'indicazione nel senso della rilevanza degli utili di periodo si trae dallo stesso art. 2446 c.c., il quale fa espresso riferimento alla possibilità che le perdite vengano riassorbite nel corso dell'esercizio. Ciò significa, chiaramente, che si sono prodotti utili nel periodo di riferimento che hanno consentito di ottenere un risultato di gestione positivo.
Come viene osservato nel motivato in diritto della sentenza, così come la situazione infrannuale è idonea a rappresentare la sussistenza di perdite ulteriori rispetto a quelle eventualmente emerse nel bilancio di esercizio, analogamente ad essa, per un'evidente simmetria, si deve fare riferimento per l'accertamento "del ricavato netto di tale gestione e del conseguente incremento del patrimonio della società per ricostruire nel modo più fedele possibile l'effettiva entità di questo medesimo patrimonio in un momento dato".
Quanto al presunto limite derivante dal principio di prudenza nella redazione del bilancio, la Suprema Corte osserva che questi principi sono dettati per evitare ingiustificate emorragie patrimoniali e non già per "misurare l'entità attuale del patrimonio dell'ente in rapporto al capitale sociale previsto nell'atto costitutivo". In ossequio al diverso principio di competenza, pertanto, gli utili di periodo devono essere computati al fine di offrire una rappresentazione veritiera del patrimonio sociale.
In tal senso si è espresso anche il Consiglio Notarile di Milano nella massima n. 68, nella quale si legge che: "L’abbattimento del capitale sociale per perdite può avere luogo solo previo utilizzo delle eventuali riserve, posto che, ove il capitale stesso fosse ridotto nonostante l’esistenza di altre voci di netto patrimoniale, si verserebbe nella diversa fattispecie della riduzione di cui agli articoli 2445 o 2482 c.c., e non in quella di riduzione per perdite.
Tale esigenza implica che l’utile di periodo (cioè il risultato di segno positivo creatosi nel tempo compreso tra la chiusura dell’ultimo esercizio e la data di riferimento della situazione infrannuale) debba essere conteggiato ai fini della determinazione della misura della perdita da coprire, tutte le volte che la sua mancata considerazione determinerebbe riduzione del capitale
".

2 luglio 2010

La riduzione reale del capitale sociale - Un caso particolare

In generale, la riduzione del capitale sociale è quell'operazione - reale o nominale - mediante la quale se ne modifica il valore portandolo ad una cifra inferiore.
Mentre la riduzione nominale è un'operazione essenzialmente contabile e obbligatoria che realizza l'adeguamento del capitale al patrimonio intaccato dalle perdite subite, la riduzione reale comporta contestualmente una riduzione del patrimonio perchè si attua mediante un rimborso ai soci dei conferimenti o mediante liberazione dall'obbligo dei versamenti ancora dovuti.
Volendo riassumere le principali caratteristiche delle due modalità di riduzione, si tenga presente quanto segue:
- RIDUZIONE NOMINALE (-K):
- operazione contabile
- a fronte di perdite
- non determina decremento patrimoniale (in quanto realizza un adeguamento del capitale al patrimonio già intaccato dalle perdite)
- obbligatoria
- RIDUZIONE REALE (-K; -P)
- operazione contabile e patrimoniale
- per esuberanza o altre ragioni indicate nell'avviso di convocazione
- determina un decremento del patrimonio
- facoltativa
- mediante rimborso dei conferimenti/liberazione dall'obbligo dei versamenti ancora dovuti
- opposizione dei creditori entro 90 gg dall'iscrizione della delibera nel Registro delle Imprese.
***
Prima della riforma del diritto societario del 2003, la riduzione reale del capitale era limitata ai soli casi di esuberanza del capitale stesso rispetto a quanto necessario per il conseguimento dell'oggetto sociale. Oggi si tratta, al contrario, di un'operazione decisamente più versatile purchè accompagnata - a pena di annullabilità della delibera - da un'adeguata indicazione delle ragioni e delle modalità di realizzazione nell'avviso di convocazione dell'assemblea (cfr. art. 2445 c.c.).
In questo contesto di operatività più ampio, la dottrina si è interrogata circa l'ammissibilità di alcune ipotesi particolari che, non rientrando espressamente in alcuna delle categorie codicistiche, devono essere opportunamente qualificate.

RIDUZIONE PER PERDITE INFERIORI AL TERZO DEL CAPITALE SOCIALE – Riduzione facoltativa del capitale per perdite
L'ipotesi, come già detto, non è prevista dal legislatore, pertanto è necessario accertarne preliminarmente l'ammissibilità, prima di incasellarla nelle modalità di riduzione del capitale disciplinate dal codice civile.
a. È ammissibile ridurre il capitale in caso di perdite inferiori al terzo del capitale sociale?
Dottrina dominante (Ferrara-Corsi, Belviso, Campobasso): si, perché si tratta di un adeguamento del capitale nominale al valore del patrimonio reale a fronte delle perdite; - Altri autori (Fenghi): no, perché consentirebbe ai soci di procedere alla distribuzione degli utili futuri (eliminando il vincolo di indistribuibilità ex art. 2433, II), pregiudicando i creditori.

b. Qualora se ne ammetta la legittimità, si deve applicare la disciplina della riduzione reale o di quella nominale (2445 – 2446)?
E' opinione condivisa (ex multis, Campobasso) che si tratti di una modifica dello statuto, da realizzarsi mediante delibera dell'assemblea straordinaria, con le maggioranze per essa previste (2436).

La riduzione in questione configurerebbe una operazione facoltativa, dal momento che la legge impone di procedere ad una riduzione del capitale solo in caso di perdite superiori ad un terzo del capitale (2446 e 2447). In assenza di un'espressa disciplina, la dottrina precedente alla riforma si è interrogata circa la regolamentazione della fattispecie.
Applicazione del 2445: alcuni autori hanno sostenuto l'applicabilità della disciplina del 2445, in quanto (i) si indebolisce la garanzia dei creditori; (ii) vengono resi disponibili utili altrimenti destinati alla riduzione delle perdite; (iii) si riduce l'ammontare della riserva legale). Ciò rende opportuno il riconoscimento del diritto all'opposizione in capo ai creditori (Tesi di Ferrucci e Ferrentino);
Applicazione del 2446: la dottrina prevalente ritiene applicabile il 2446, perchè l'operazione determina l'adeguamento del capitale nominale al valore del patrimonio esistente e non una restituzione dei conferimenti (Tesi di Campobasso e Busi).

Massima del Consiglio Notarile del Triveneto
H.G.25 – (PRESUPPOSTI FORMALI DELLA DELIBERA DI RIDUZIONE DEL CAPITALE PER PERDITE INFERIORI AL TERZO – 1° pubbl. 09/08)
Nel caso di riduzione del capitale per perdite inferiori ad un terzo è comunque necessario che sia garantito che il capitale sia ridotto in proporzione alle perdite accertate.
Pertanto, sarà necessario che le perdite risultino o dal bilancio riferito ad un esercizio chiuso da non più di centottanta giorni o da una situazione patrimoniale riferita ad una data non anteriore a centoventi giorni (vedi orientamento H.G.6).
Occorre inoltre una relazione dell’organo amministrativo, con le osservazioni del collegio sindacale o del comitato per il controllo sulla gestione, al fine di spiegare l’opportunità dell’operazione.

Cassazione civile , sez. I, 13 gennaio 2006 , n. 543
"La riduzione facoltativa del capitale sociale per perdite inferiori al terzo è un'operazione destinata per sua stessa natura ad incidere sull'assetto sociale, e quindi ad interferire nella sfera soggettiva dei soci, in particolare sul loro diritto alla distribuzione degli utili, nonché a spiegare influenza sui diritti dei terzi, e segnatamente dei creditori sociali, le cui ragioni sono garantite proprio dal capitale sociale; essa non è contemplata specificamente nè dall'art. 2445 c.c., che si riferisce alla diversa ipotesi di esuberanza del capitale, nè dagli art. 2446 e 2447, che prevedono la riduzione obbligatoria per perdite, ma deve ugualmente attuarsi secondo un modello predefinito che offra adeguate garanzie di protezione ad entrambe le predette categorie di soggetti; nel silenzio del legislatore, la sua disciplina dev'essere ricavata, ai sensi dell'art. 12, comma 2, disp. prel. c.c., dai principi generali desumibili dall'art. 2446, con gli adattamenti resi necessari dalla discrezionalità dell'operazione, connessa alla minore entità della perdita: ne consegue che l'amministratore, mentre non è tenuto a convocare senza indugio l'assemblea, deve rendere edotti i soci dell'effettivo stato patrimoniale della società, mediante una situazione patrimoniale riferita ad una data prossima a quella dell'adunanza; tale situazione patrimoniale può essere surrogata anche dall'ultimo bilancio di esercizio, purché sia rispettata quell'esigenza di continuità temporale, rispetto alla data di convocazione dell'assemblea, che garantisce un'idonea informazione dei soci, e non siano nel frattempo sopravvenuti fatti significativi."

"In materia di riduzione nominale del capitale sociale, ove questo sia eseguito per adeguare il capitale sociale al patrimonio netto, la fattispecie rappresenta ipotesi che non è specificamente regolata dal legislatore. Questi, infatti, ha predisposto specifica disciplina nell'art. 2445 c.c. per il caso di riduzione, anch'essa facoltativa, ma effettiva, vale a dire per esuberanza, e per quello di riduzione per perdite ma non già facoltativa bensì obbligatoria, che è oggetto della previsione testuale dell'art. 2446 c.c. e per la “species” più grave in cui il capitale sociale sia stato totalmente eroso a causa delle perdite, dell'art. 2447 c.c. Emerge, pertanto, dal quadro normativo riferito, che delle tre ipotesi di riduzione del capitale sociale per perdite, quella per perdite inferiori al terzo e le altre due per perdite superiori al terzo, la prima non è stata specificamente regolamentata. Tale constatazione non legittima, tuttavia, l'affermazione di esistenza di un vuoto normativo cui consegua un'articolazione dell'operazione rimessa alla mera discrezionalità dei singoli enti, i quali rimarrebbero liberi di disciplinarla secondo criteri e scansioni che finirebbero, per essere del tutto difformi da caso a caso, a seconda delle singole specifiche previsioni statutarie. È evidente, pertanto, l'esigenza anche attesa l'influenza dell'operazione sugli interessi dei terzi, e segnatamente dei creditori sociali, le cui ragioni sono garantite proprio dal capitale sociale, che l'operazione stessa si attui alla stregua di un modello astrattamente predefinito, che offra adeguata garanzia di protezione sia per l'una che per l'altra categoria di soggetti interessati e che, nel silenzio del legislatore, deve necessariamente mutuarsi dall'istituto, espressamente regolamentato dall'art. 2446 c.c."