29 giugno 2010

L'acquisto di partecipazioni sociali in regime di comunione legale dei beni

L'acquisto di partecipazioni sociali in regime di comunione legale tra i coniugi

CADE IN COMUNIONE?

1. La soluzione dipende anzitutto dalla natura giuridica che si attribuisce alla partecipazione sociale:
- SOCIETA' DI PERSONE
Fino al 2009, un consolidato orientamento giurisprudenziale escludeva le partecipazioni in società di persone dalla comunione legale perchè considerate diritti di credito che, in quanto personali, non sono suscettibili di cadere in comunione.
- SOCIETA' DI CAPITALI
Le partecipazioni in società di capitali sono caratterizzate dalla oggettivizzazione dei diritti e degli obblighi connessi allo status di socio. Esse devono essere considerate beni mobili oggetto della comunione legale.

2. Cosa si deve intendere, ai sensi dell'art. 177 c.c., con il termine "acquisti"?

a)I SOLI DIRITTI REALI (Finocchiaro – Pavone La Rosa)

Cassazione civile, sez. II, 27 gennaio 1995 n. 987:Nella comunione legale tra coniugi sono ricompresi tutti gli acquisti nei quali viene posta in essere la costituzione od il trasferimento dei diritti reali. Non sono pertanto ricompresi in questa gli eventuali diritti di credito sorti dal contratto concluso da uno dei coniugi, i quali, per la loro stessa natura relativa e personale, pur se strumentali all'acquisizione di una res, non sono suscettibili di cadere in comunione

b)OGNI TIPO DI INCREMENTO (Baralis – DePaola - Santarcangelo)

Cassazione civile, sez. I, 23 settembre 1997, n. 9355
"Anche le azioni di società, sottoscritte da uno dei coniugi in comunione legale in esercizio del diritto di opzione su aumento di capitale da parte di uno dei coniugi in legale, costituiscono incrementi patrimoniali rientranti fra gli acquisti di cui all'art. 177 lett. a) c.c., e quindi nell'oggetto della comunione legale tra coniugi, in quanto, anche se esse non sono meri titoli di credito, ma titoli di partecipazione societaria, l'aspetto patrimoniale di esse è assolutamente prevalente rispetto ai diritti ed agli obblighi connessi con lo "status" di socio in essi incorporato, ed in quanto il carattere personale del diritto di opzione non si riflette automaticamente sull'oggetto acquistato".

c)VALUTAZIONE IN BASE A CRITERI INDIVIDUATI DALLA DOTTRINA

1.Criterio della strumentalità (CORSI)
Questo criterio considera la partecipazione sociale nell'ottica della sua finalità diretta. Se essa è acquistata dal coniuge allo scopo di svolgere una attività imprenditoriale, l'acquisto così effettuato sarà sottoposto al regime della comunione de residuo ex art. 178 c.c. in quanto bene strumentale all'esercizio dell'impresa del coniuge acquirente.
Cfr. Trib. Roma, 18 febbraio 1994:
“Le quote di una società a responsabilità limitata acquistata da un coniuge in costanza di matrimonio non rientrano nella comunione c.d. attuale se il coniuge partecipa attivamente alla vita sociale (trattandosi di svolgimento di attività professionale per il tramite della partecipazione ad un'impresa collettiva) ma posso no eventualmente rientrare nella c.d. comunione residuale ex art. 178 c.c.”
Critica: la tesi attribuisce eccessiva rilevanza ai motivi dell'acquisto (Figone) e non tiene presente che il socio di una società di capitali non è investito in quanto tale di poteri di gestione né della qualifica di imprenditore (Campobasso)

2.Criterio della destinazione all'investimento (DI MARTINO – OPPO - BUONOCORE)
Le partecipazioni acquistate da uno dei coniugi allo scopo di impiegare il proprio risparmio nell'acquisto di beni o diritti che entrino durevolmente nel patrimonio cadono in comunione legale.

Cfr. Cassazione civile, sez. I, 09 ottobre 2007, n. 21098:
“Ai sensi dell'art. 177 c.c., oltre ai diritti reali, costituiscono acquisti - se possono essere considerati come una forma di investimento - e rientrano fra i beni in comunione legale anche i diritti di credito (nella specie, la S.C. ha applicato tale principio a titoli obbligazionari acquistati dal coniuge in regime patrimoniale di comunione con i proventi della propria attività lavorativa).”

3.Criterio della responsabilità (prevalente dottrina)
I criteri sopra visti sono sintetizzati dal criterio della responsabilità, secondo il quale la partecipazione a responsabilità illimitata denota una strumentalità all'attività di impresa che ne esclude la caduta in comunione diretta a vantaggio della comunione de residuo; al contrario, la partecipazione a responsabilità limitata palesa una finalità di investimento ed è suscettibile di cadere in comunione legale.
Critica: questo criterio risulta superato perchè non tiene presente che anche il socio illimitatamente responsabile può essere, di fatto, escluso dalla gestione diretta. L'esigenza di operare una valutazione caso per caso rende questa soluzione foriera di incertezza per i rapporti giuridici.


IL REVIREMENT DELLA SUPREMA CORTE
CASS. CIV., SEZ. II, 2 FEBBRAIO 2009, N. 2569


EQUIPARAZIONE SOSTANZIALE DELLE PARTECIPAZIONI SOCIETARIE
→ BENI MOBILI

---- COMUNIONE LEGALE DEI BENI ----
La quota di partecipazione ad una società di persone non attribuisce al partecipante una posizione giuridica soggettiva qualificabile in termini di diritto di credito avente ad oggetto la restituzione del conferimento o di una quota proporzionale del patrimonio sociale, ma va ricondotta nella nozione di beni mobili fornita dagli art. 810 e 812, comma ult., c.c.
Deriva da quanto precede, pertanto, che la iniziale partecipazione di uno dei coniugi ad una società di persone ed i suoi successivi aumenti - ferma la distinzione tra la loro titolarità e la legittimazione all'esercizio dei diritti nei confronti della società che essi attribuiscono al socio - rientrano tra gli acquisti che, a norma dell'art. 177, lett. a, c.c. costituiscono oggetto della comunione legale tra i coniugi, anche se effettuati durante il matrimonio ad opera di uno solo di essi e con beni personali, ove non ricorra una delle ipotesi previste dall'art. 179 c.c
.”

28 giugno 2010

Società e comunione. Il punto.

























Sul prossimo numero di Gazzetta Notarile (n.4-6, 2010), di prossima pubblicazione, il mio articolo

"Società è comunione" o "Società e comunione". Il Punto.

Partendo dall'erroneo utilizzo del termine "società" nel linguaggio comune, ho cercato di definire i concetti di società e di comunione evidenziandone le differenze e le affinità.

25 giugno 2010

L'Officina e Giuristi&Diritto


Da oggi L'Officina collabora con il portale giuridico Giuristi&Diritto

La mia scheda di presentazione è visibile qui.

23 giugno 2010

Il conferimento dei crediti in società – Giusto due parole (e uno schema)


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COS'E':
“cessione della titolarità di un credito a liberazione del capitale sottoscritto” (FERRUCCI FERRENTINO)
DOV'E':
art. 2342, III co., c.c.
QUALI REGOLE:
-le azioni devono essere interamente liberate
-questo tipo di conferimento deve essere espressamente previsto dall'atto costitutivo
- solo crediti pecuniari o obbligazioni di dare (no facere → divieto di conferimento di opere o servizi)
-relazione di stima ex art. 2343 (salvi i casi ex art. 2343 ter)
QUALI CREDITI:
VERSO TERZI/VERSO LA STESSA SOCIETA'

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a) conferimento mediante cessione di credito verso terzi
l'art. 2342, III co., c.c. rimanda espressamente all'art. 2255 c.c.: il socio conferente risponde dell'insolvenza del debitore, nei limiti dell'art. 1267 per il caso di assunzione convenzionale della garanzia

Cosa deve garantire il socio conferente?
-
tesi prevalente (PORTALE)
il conferente deve garantire:
-nomen verum
-nomen bonum
- tesi minoritaria (FRE' – SBISA')
il conferente è tenuto alla garanzia solo se si è espressamente obbligato in tal senso

In quale misura il socio conferente risponde dell'inadempimento del debitore ceduto?
- Prima tesi:
nei limiti di quanto ha ricevuto (cfr.art.1267): valore nominale delle azioni sottoscritte
- Seconda tesi:
valore del credito al momento della costituzione della società

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b) conferimento di credito vantato verso la stessa società (compensazione)
Si tratta di una questione quanto mai affascinante e complessa, che impone considerazioni differenti a seconda che si tratti di un conferimento in sede di costituzione della società o di un conferimento nell'ambito di un aumento di capitale oneroso.
- Costituzione della società:
In sede di costituzione della società è logicamente impossibile che il socio possa vantare un credito nei confronti di essa, dal momento che, secondo la tesi prevalente, prima dell'iscrizione nel registro delle imprese non vi è ancora un soggetto.
Anche ove si ritenga che l'iscrizione sia una modalità per aggiungere una qualità (la personalità giuridica) ad un soggetto già sorto con la stipulazione del contratto, parimenti si dovrà escludere la possibilità di conferire un credito a liberazione dei centesimi iniziali, dal momento che il notaio non potrà procedere alla stipula nel caso in cui non venga prodotto il certificato attestante il versamento delle somme dovute presso una banca.
Per quel che concerne il versamento dei centesimi residui, alcuni autori escludono ugualmente il conferimento di credito dal momento che il capitale sociale deve essere costituito da beni idonei ad essere oggetto di garanzia patrimoniale.
Sul punto, interessante è la massima a Cass. civ., sez. I, 5 febbraio 1996, n. 936, nella quale si legge che "la compensazione tra debito di conferimento e credito verso la società non può avvenire in relazione al capitale originario - nè per il versamento dei decimi prescritti dall'art. 2329 c.c., perché la società ancora non esiste, nè per i versamenti successivi, perché i conferimenti iniziali possono essere costituiti solo da beni idonei a formare oggetto di garanzia patrimoniale".
Pertanto, si deve concludere nel senso della inammissibilità di un conferimento di credito in compensazione in sede di costituzione della società.
- Aumento di capitale a pagamento:
Se, come si è visto, vi è una sostanziale concordia di opinioni nel negare l'ammissibilità di una compensazione in sede di atto costitutivo, lo stesso non può dirsi nell'ipotesi di aumento di capitale.
In passato (anteriormente al 1996), autorevoli giuristi (FERRI, DI SABATO, SIMONETTO) e alcune sentenze di legittimità (cfr. Cass. 13095/1992) hanno sostenuto l'impossibilità di una compensazione tra il credito del socio verso la società e il debito da conferimento per le seguenti ragioni:
1) la compensazione viola la necessaria corrispondenza tra capitale nominale e capitale reale in quanto mera operazione contabile (in realtà non è vero perchè il fatto che il socio ha un credito verso la società vuol dire che in precedenza ha già trasferito il valore delle azioni che oggi acquisterebbe per compensazione);
2) la compensazione non può operare perchè i crediti opposti afferiscono a due rapporti differenti: quello obbligatorio e quello societario (tuttavia mi pare una obiezione irrilevante perchè l'appartenenza a due rapporti diversi non va ad inficiare l'identità soggettiva);
3) il credito non è una posta capace di assicurare la garanzia dei creditori.
Tuttavia, sembra oggi prevalere la tesi positiva, sostenuta sia in dottrina (CAMPOBASSO, SALAFIA) che dalla giurisprudenza più recente, le cui motivazioni sono enunciate nelle massime che seguono:
- Cassazione civile sez. I 19 marzo 2009 n.6711
"In tema di società di capitali, l'obbligo del socio di conferire in danaro il valore delle azioni sottoscritte in occasione di un aumento del capitale sociale è un debito pecuniario che può essere estinto per compensazione con un credito pecuniario vantato dal medesimo socio nei confronti della società, anche ai sensi dell'art. 56 l. fall., quando di essa sia sopraggiunto il fallimento"
- Tribunale Isernia 29 ottobre 2005
"Il credito del socio di una società di capitali (o di un terzo) nei confronti della società è compensabile con il debito relativo alla sottoscrizione di azioni emesse in sede di aumento del capitale sociale, non essendo ravvisabile un divieto implicito, desumibile da principi inderogabili del diritto societario che impedisca in tal caso l'operatività della compensazione ex art. 1246, n. 5, c.c.; a patto tuttavia che il controcredito sia anteriore alla deliberazione di aumento del capitale sociale e quindi regolarmente esposto in bilancio come credito liquido ed esigibile e che tale situazione sia riportata con apposita contemplazione nella delibera di aumento .
- Cassazione civile sez. I 24 aprile 1998 n. 4236
"In tema di società di capitali, nella ipotesi di sottoscrizione di un aumento del capitale sociale, l'oggetto del conferimento, da parte del socio, non deve, necessariamente, identificarsi in un bene suscettibile di espropriazione forzata, bensì in una res dotata di consistenza economica. Ne consegue la legittimità del conferimento attuato mediante compensazione tra il debito del socio verso la società ed un credito vantato dal medesimo nei confronti dell'ente, atteso che la società stessa, pur perdendo formalmente il suo credito al conferimento, acquista concretamente un "valore" economico, consistente nella liberazione da un corrispondente debito. Alla funzione essenzialmente "produttiva" del capitale sociale consegue, difatti, quella di garanzia meramente indiretta del pagamento dei debiti sociali, funzione, quest'ultima, assolta direttamente dal patrimonio sociale, cui non risultano trasferibili quei vincoli di indisponibilità e di invariabilità tipici, in via esclusiva, del capitale . Nessun pregiudizio per i creditori sociali è, pertanto, ravvisabile (diversamente che nella ipotesi di conferimenti iniziali, quantomeno per i tre decimi previsti dall'art. 2329 c.c.) in un aumento di capitale sottoscritto mercè la contestuale estinzione per compensazione di un credito del socio sottoscrittore (scaturendo, invece, da tale operazione un aumento della generica garanzia patrimoniale, poiché dalla trasformazione del credito del socio in capitale di rischio deriva che detta garanzia non copre più il credito medesimo), mentre, sul piano economico-patrimoniale, nessun vantaggio deriverebbe ai creditori stessi dall'imposizione, alla società, dell'obbligo di pagare il proprio debito nei confronti del socio sottoscrittore e di incassare, contestualmente, la stessa somma da lui dovuta."
- Cassazione civile sez. I 05 febbraio 1996 n. 936
"È consentita la compensazione fra il credito che un socio di società di capitali vanta nei confronti della società e il debito conseguente alla sottoscrizione di un aumento di capitale, non esistendo alcun esplicito divieto nella vigente normativa".

Tutte le massime sono tratte da DEJURE - GIUFFRE'


“Beni prelazionabili” e conferimento in società - (Piccola) Rassegna giurisprudenziale

1.Conferimento di fondo rustico
Consiglio di Stato 13 marzo 2008, n. 1087

Il diritto di prelazione agraria in favore dell'affittuario coltivatore di fondo rustico o del proprietario del fondo confinante non sussiste nel caso di conferimento di detto fondo rustico in una società di capitali (o di cessione di quote di una tale società), non configurandosi un'alienazione a titolo oneroso del fondo stesso in considerazione della natura ed infungibilità della controprestazione del trasferimento del bene, costituita dall'acquisto della qualità di socio.

Consiglio Stato sez. IV 10 maggio 2007 n. 2198
Il diritto di prelazione in favore dell'affittuario coltivatore diretto di fondo rustico o del proprietario del fondo confinante previsto per il caso della vendita del fondo stesso dall'art. 35 bis l. prov. Bolzano 20 agosto 1972 n. 15, non sussiste nel caso di conferimento di detto fondo rustico in una società di capitali (o di cessione di quote di una tale società), non configurandosi un'alienazione a titolo oneroso del fondo stesso in considerazione della natura e infungibilità della controprestazione del trasferimento del bene, costituita dall'acquisto della qualità di socio.

2.Conferimento di un immobile locato (ad uso non abitativo) in società
Cassazione civile, sez. III, 18 settembre 2008, n. 23856
Qualora un locatore conferisca in proprietà ad una società l’immobile urbano locato non sussistono i diritti di prelazione e di riscatto previsti dagli artt. 38 e 39 della legge 392/1978, in favore del conduttore dell’immobile medesimo, atteso che in tal caso non è configurabile un “trasferimento a titolo oneroso” ai sensi del primo comma dell’art. 38 della legge citata, né è possibile che il titolare del diritto di prelazione possa offrire al locatore-venditore la medesima controprestazione e le medesime condizioni, in quanto il conferimento in società è correlato alla qualità di socio.
(in senso conforme si vedano anche Cass. 16853/2007; Cass. 14455/2006; Cass. 6867/2003; Cass. 5519/1991)

3.Conferimento di bene culturale anteriormente al D.lgs. 156/2006


4.Conferimento di quote sociali in presenza di clausola statutaria di prelazione
Tribunale Milano 06 febbraio 2002

Presupposto di applicabilità della clausola statutaria di prelazione , stabilita "a parità di condizioni" è l'indifferenza della sostituzione del cessionario rispetto alle altre componenti negoziali della cessione. Non costituisce quindi violazione della clausola la cessione delle quote sociali effettuata mediante loro conferimento in altra società, poiché essa realizza un negozio di tipo associativo e non un semplice contratto di scambio.
Le massime inserite in questo post sono tratte da DEJURE - Giuffrè

21 giugno 2010

Il conferimento di beni culturali in società di capitali

Quando si parla di "beni culturali", una constatazione è scontata: sono fonte di grattacapi per l'operatore del diritto, che si trova a fronteggiare una disciplina farraginosa e spesso paralizzante.
Prova ne è la complessa questione del conferimento in società di un bene sottoposto alla prelazione artistica, laddove le regole sui conferimenti in natura previste dal codice civile devono essere coordinate con la disciplina del D.Lgs. 22 gennaio 2004,n. 42 (Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio - di seguito C.B.C.).
La dottrina notarile (ex multis CACCAVALE) che ha affrontato questa problematica, ne ha evidenziato la complessità su due distinti piani:
a) quello della sussistenza della prelazione artistica nel caso di conferimenti societari;
b) quello della compatibilità del conferimento di bene culturale con la disciplina dei conferimenti in natura e, in particolare, con il principio di integrale ed immediata liberazione delle azioni ad essi connesse (cfr. art. 2342 c.c.).
La prima questione, in realtà, ha ormai perso la sua rilevanza dal momento che l'art. 60 del C.B.C., così come modificato dal D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 156, prevede espressamente che lo Stato abbia il diritto di acquistare in via di prelazione i beni culturali conferiti in società.
Quanto al secondo profilo evidenziato, la soluzione è ben più problematica.
L'art. 2342 c.c. impone, infatti, che le azioni corrispondenti a conferimenti in natura siano integralmente liberate al momento della sottoscrizione e cioè che il conferimento sia "immediatamente e compiutamente eseguito contestualmente alla sottoscrizione dell'atto costitutivo (o dell'aumento di capitale a pagamento), non essendo ammissibile che il conferente ... prometta solo di eseguirlo o, comunque, assuma un obbligo di esecuzione" (FERRUCCI-FERRENTINO).
Questa necessità della società di acquisire immediatamente, nella titolarità e nella disponibilità, i beni conferiti sembra contrastare con la regola che subordina gli effetti del trasferimento del bene alla condizione sospensiva legale del mancato esercizio della prelazione da parte dello Stato (art. 61, co. IV, C.B.C.) e che vieta all'alienante (rectius al conferente) la consegna del bene.
Alcuni autori hanno sostenuto che, in virtù del principio consensualistico, il meccanismo traslativo non necessita della consegna materiale del bene, la quale configura, piuttosto, un mero atto materiale che accede ad un contratto già perfetto.
Tuttavia, sembra prevalere quell'opinione (MIOLA, PORTALE) che associa l'integrale liberazione delle azioni al conseguimento da parte della società della disponibilità giuridica e materiale del bene conferito.
Pertanto, ove non si ricorra a particolari tecniche redazionali, il conferimento di un bene culturale si scontra palesemente con le regole enunciate.
Le possibili soluzioni al problema sono state - ovviamente - elaborate dalla prassi notarile e possono riassumersi come segue:
1. Conferimento alternativo di bene culturale e denaro:
Poichè autorevole dottrina (PORTALE) ha sostenuto che in caso di mancata attuazione del conferimento in natura esso si converta coattivamente in obbligo a versare, l'effettività del capitale sociale può essere garantita mediante il versamento di una somma in denaro pari almeno al 25% del valore del bene da conferire, sottoposto alla condizione risolutiva che lo Stato non eserciti la prelazione sul bene. In tal caso, le somme saranno restituite e si realizzerà un normale conferimento in natura.
Si tratta di una soluzione possibile, ma criticabile in quanto non è detto che il socio disponga di tali somme e la società potrebbe non avere interesse all'ingresso di quel soggetto nel caso in cui non sia possibile l'apporto in natura.
2. Conferimento alternativo del credito che il socio vanterebbe in caso di esercizio della prelazione:
Si tratta di una soluzione poco praticabile perchè il credito è futuro ed eventuale (quindi non certo nè esigibile).
3. Contratto di sottoscrizione sottoposto a condizione sospensiva:
Altra soluzione può essere quella di condizionare l'intero contratto di sottoscrizione al mancato esercizio della prelazione da parte dello Stato. Tuttavia, questa modalità, per lo meno in fase di costituzione, si pone in conflitto con la previsione dell'art. 2329 c.c. che impone l'integrale sottoscrizione del capitale sociale (SPOLIDORO).
4. Atto costitutivo sospensivamente condizionato:
Si tratta di una soluzione sostenuta da una risalente dottrina, che tuttavia deve ritenersi incompatibile con il regime legale della pubblicità commerciale.
5. Conferimento di bene culturale garantito da polizza o fideiussione.
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Nel caso di aumento di capitale oneroso, oltre alle soluzioni viste, degno di nota è il meccanismo del cd. "doppio termine", in virtù del quale l'atto di sottoscrizione viene subordinato ad un termine iniziale o ad una condizione sospensiva (il mancato esercizio della prelazione) i cui effetti differiti si producano prima dello spirare del termine previsto per l'opzione o per la sottoscrizione dell'aumento.
Il notaio Federico Magliulo illustra il tema di questo post (molto meglio di me!) in un brillante intervento tenuto al convegno sulla circolazione dei beni culturali organizzato dalla Fondazione Notariato, visibile qui.

20 giugno 2010

Usufrutto su quote di partecipazione in società di persone - Seconda parte

Continuando la trattazione delle questioni relative all'usufrutto sulla quota di partecipazione in società di persone, resta da esaminare la portata del diritto costituito in capo all'usufruttuario.
Quanto al diritto di voto e al diritto agli utili, essi spettano all'usufruttuario in quanto esplicazione del contenuto stesso del diritto di usufrutto.
Restano, dunque, isolate quelle posizioni dottrinali che legano il diritto di voto alla qualifica di socio e che ritengono non estensibile la disciplina dell'art. 2352 c.c. (usufrutto di azioni) alle società di persone.
4. L'usufruttuario può amministrare la società?
Più problematica, invece, risulta l'attribuzione del potere di amministrare la società all'usufruttuario.
Tesi positiva
a) il potere di amministrare è strumentale al diritto di godimento riconosciuto all'usufruttuario;
b) così prevedono la disciplina dell'usufrutto di azienda (art. 2561 c.c.) e quella sull'usufrutto di azioni (art. 2352 c.c.);
c) rispondendo illimitatamente verso i terzi delle obbligazioni sorte durante l'usufrutto, il titolare del diritto ha tutto l'interesse ad una gestione proficua dell'impresa
La massima - Trib. Parma 7 feb. 1998:
"L'usufruttuario di quote sociali di società di persone (nella specie, società in nome collettivo) può assumere la qualifica di amministratore della società stessa, ancorché non ne sia socio, in quanto la sua posizione - quale usufruttuario di una porzione ideale dell'azienda sociale - può equipararsi a quella di usufruttuario di azienda, ai sensi dell'art. 2561 c.c., come tale abilitato alla gestione della stessa e, pertanto, ad assumerne l'Amministrazione."
Tesi negativa (preferibile)
a) nelle società di persone l'amministrazione può essere affidata solo ai soci e l'usufruttuario non lo è;
b) l'usufruttuario non è illimitatamente responsabile perchè il 2267 si riferisce solo ai soci.
Le massime - Trib. Biella 23 ott. 1999 e Trib. Bologna 24 apr. 2001:
"L'usufruttuario di quote di una società di persone non assume la qualità di socio e non può quindi essere amministratore della società."
"All'usufruttuario di quote di società di persone non può essere attribuita la facoltà di amministrare la società."
Al più, l'usufruttuario può esercitare i poteri amministrativi propri dell'institore.

Usufrutto su quota di partecipazione in società di persone - Prima parte

"Quando una cosa cessa d'essere oggetto di controversia, cessa di essere un oggetto d'interesse."

William Hazlitt



Se tanto mi dà tanto, l'argomento del post di oggi è al riparo da possibili perdite di interesse, vista la complessità delle problematiche che determina e la vivacità delle dispute dottrinali ad esso connesse.

1.E' ammissibile la costituzione di un diritto di usufrutto sulle quote di partecipazione in una società di persone?

Tesi negativa
- l'usufrutto è un diritto reale tipico che può essere costituito solo su beni patrimoniali suscettibili di essere oggetto di diritto di proprietà;
- le quote di partecipazione in società di persone non sono rappresentate da titoli e riguardano posizioni giuridiche che non possono essere qualificate nell'ambito della nozione giuridica della proprietà (è esclusa la costituzione di diritti su diritti);
- la partecipazione in società di persone è caratterizzata dall'intuitus personae e dalla responsabilità illimitata;
- la legge disciplina solo l'ipotesi dell'usufrutto su partecipazioni in società di capitali (ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit)
La massima - Trib. Trento 6 sett. 1996:
"La costituzione di un diritto di usufrutto su quote di società di persone deve ritenersi inammissibile, posto che tale diritto deve avere per oggetto un bene patrimoniale materiale od immateriale che possa formare oggetto del diritto di proprietà e che tra tali beni non possono comprendersi le quote sociali di società di persone, afferendo questa a posizioni contrattuali complesse, non rappresentate da alcun titolo e concernendo posizioni generiche non suscettibili di qualificazione nell'ambito della nozione giuridica di proprietà. La previsione della possibilità di costituzione dell'usufrutto solo in materia di s.p.a. (art. 2352 c.c.) è in tal senso chiaro indice della esclusione operata dal legislatore circa la possibilità di costituzione di tale diritto al di fuori della ipotesi prevista, dovendosi intendere tale norma come specifica ed eccezionale."

Tesi positiva (preferibile)
- pur non essendo rappresentata da un titolo cartolare, la quota di partecipazione in società di persone è pur sempre un bene (immateriale) suscettibile di essere oggetto di proprietà ed equiparato ex art. 812 c.c. al bene materiale.
La massima - Trib. Trento 14 genn. 1997:
"Non sussistono ostacoli ad ammettere la costituzione di usufrutto sulla quota di società di persone, non essendovi ragioni di ordine sistematico ostative alla costituzione di detto diritto sulla quota sociale, a prescindere dalla sussistenza o meno di un titolo cartolare in cui detta partecipazione si incorpora. L'argomento fondato sulla necessità che l'oggetto dell'usufrutto sia una "res" che possa formare oggetto del diritto di proprietà non considera che l'ordinamento riconosce natura di "res immaterialis" anche alla quota di s.r.l., che è bene immateriale equiparato ex art. 812 c.c. al bene materiale: ciò vale anche per la partecipazione a società di persone."

2.Come si costituisce il diritto?
Vi è sostanziale concordia in dottrina e in giurisprudenza circa la necessità del consenso di tutti i soci per la costituzione del diritto di usufrutto sulla quota di uno di essi.
La massima - Trib. Biella 23 ott. 1999:
"L'usufrutto di quote sociali si una società di persone rientra nell'ambito delle modificazioni del contratto sociale e di conseguenza, per la sua costituzione o per il suo trasferimento è necessario il consenso di tutti i soci."

3.L'usufruttuario diventa socio?
La qualifica di socio resta in capo al nudo proprietario, dal momento che l'attribuzione di un diritto di usufrutto non presuppone la volontà di attribuire tale status.
La massima - Trib. Biella 23 ott. 1999:
"L'usufruttuario di quote di una società di persone non assume la qualità di socio."


*** interruzione delle attività di studio per impegni "calcistici" della redattrice ***

FORZA ITALIA!!!


19 giugno 2010

Il principio di correttezza in materia societaria

L'art. 1175 c.c. impone, in materia di obbligazioni, tanto al debitore quanto al creditore di comportarsi secondo le regole della buona fede.
Questo principio, detto della buona fede oggettiva (o correttezza), costituisce una specificazione del dovere di solidarietà sociale (cfr. art. 2 Cost.) e si manifesta come "l'obbligo gravante su ciascun soggetto del rapporto obbligatori di salvaguardare l'utilità dell'altro nei limiti in cui ciò non determini un apprezzabile sacrificio" (si veda in proposito, la suggestiva ricostruzione di Bianca).

In sostanza, l'ordinamento, oltre alle tutele previste dalla disciplina legale, salvaguarda gli interessi sottesi al rapporto anche laddove questi siano sprovvisti di una specifica tutela giuridica, affidandone il compito ai medesimi soggetti che di essi sono portatori.

La derivazione costituzionale del principio consente di estenderne la portata anche al di fuori dell'ambito delle obbligazioni e dei contratti, di modo che la correttezza diventa un "dovere legale che si esplica in ogni rapporto civile" e che "si atteggia in termini di modalità di comportamento e non di determinazione di contenuti dei comportamenti" (cfr. DiSabato). Come è stato autorevolmente affermato, il dovere di solidarietà è ormai uscito dalle maglie del contratto per caratterizzare il cd. contratto sociale.

La traslazione in materia societaria del principio inteso nella sua portata più generale ha richiesto, in assenza di una formulazione normativa, un lavoro interpretativo della giurisprudenza, come si può vedere dalla massima che segue:

Cass. civ., sez. I, 21 dicembre 1994, n. 11017: "La consapevole e fraudolenta attività del socio di maggioranza volta al perseguimento dell'unico fine di trarre un vantaggio personale a danno degli altri azionisti si concreta nella inosservanza dell'obbligo di fedeltà allo scopo sociale o del dovere di correttezza e buona fede e rende, perciò, annullabile la delibera adottata con il voto determinante del predetto socio solo se questo, attraverso l'approvazione della delibera, abbia perseguito il fine unico di realizzare il proprio utile, con danno per i soci di minoranza e senza vantaggio per l'interesse sociale."
- Il socio che fraudolentemente persegue la propria utilità in danno degli altri e senza vantaggio per la società non agisce in eccesso di potere, ma compie un atto di infedeltà allo scopo sociale;
- Vantaggio proprio + danno alla minoranza + carenza di interesse sociale --> Annullamento della delibera assembleare viziata.
L'affermazione di un criterio di condotta legale svincolato dalla matrice contrattuale, pertanto, consente non solo di sanzionare l'operato infedele del socio, ma soprattutto di incidere pesantemente sulla validità delle decisioni assunte in conseguenza di quella condotta.
Come afferma DiSabato, dunque, "la violazione della regola di buona fede non ha attitudine soltanto a fungere come regola di comportamento (la cui violazione comporta una tutela soltanto risarcitoria), ma anche come regola di validità, idonea a dare al soggetto danneggiato, con l'annullamento dell'atto compiuto in violazione di essa, tutela reale".
(Il tema delle interferenze tra regole di comportamento e regole di validità è stato di recente affrontato, in maniera differente rispetto a quanto affermato, da Cass. civ., SS. UU., 19 Dic 2007 n. 26724, la quale, in materia di contratti con gli intermediari finanziari, ha stabilito che "ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch'esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale può essere fonte di responsabilità")

13 giugno 2010

12 giugno 2010

La crisi d'Impresa e gli accordi di ristrutturazione del debito a Trani


La crisi d'Impresa e gli accordi di ristrutturazione dei debiti.
La transazione fiscale


Trani 12 giugno 2010, ore 9,00 - 14,00
Sporting Club


PROGRAMMA

Saluti Istituzionali.
Introduce e presiede il Dott. Salvatore Paracampo, Pres. On. Aggiunto Corte Cassazione, Presidente UGCI- Sezione di Trani- “Renato Dell’ Andro “.

Relatori:
Cons. Umberto Apice, Sost. Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione di Roma : "La crisi di Impresa: gli accordi di ristrutturazione del debito ".
Dott. ssa Alida Paluchowski, Presidente della Sezione Fallimentare Tribunale di Monza: “Gli accordi di ristrutturazione del debito a 5 anni dalla loro introduzione: un appuntamento mancato ?
Avv. Antonio Damascelli, Presidente della Camera Tributaria di Bari: “Le Transazioni fiscali”.

Interventi programmati:
Cons. Francesco Lucafò, Presidente della Sezione Fallimentare del Tribunale di Bari.
Conclusioni del Presidente Dott. Salvatore Paracampo.

11 giugno 2010

Braccia sottratte al diritto...

Schizzi in Officina

La moglie in bianco, l'amante al pepe. Tra risate, equivoci e strafalcioni giuridici, qualche riflessione sulla condizione di contrarre matrimonio.

In una nota commedia all'italiana degli anni '80, il nobile donnaiolo Calogero Patanè in punto di morte convoca il notaio per disporre delle proprie sostanze per il tempo in cui avrà cessato di vivere.

Io sottoscritto Calogero Patanè, Grande Ufficiale della Giarrettiera, nomino erede universale mio figlio Giuseppe detto Peppino ad una condizione, in mancanza della quale tutta l'eredità andrà a mia figlia: che mio nipote Gianluca figlio di Peppino si sposi ed abbia un figlio entro un anno esatto dalla mia morte, dando così prova della virilità che ha sempre distinto il nostro casato”.

Il notaio Brindisi che ha ricevuto il testamento è al riparo dall'art. 28 L.Not.?

Probabilmente si, perché la condizione coartante riguarda una persona diversa dall'istituito. Ma se il cavalier Patanè avesse condizionato l'istituzione di erede al matrimonio dello stesso Peppino, il notaro Brindisi non sarebbe passato indenne dall'ispezione notarile...

In una recente sentenza (Cass. Civ. Sez. II, 15-04-2009, n. 8941) la Cassazione ha, infatti, affermato il seguente principio di diritto:
"La condizione, apposta ad una disposizione testamentaria, che subordini la efficacia della stessa alla circostanza che l'istituito contragga matrimonio, è ricompresa nella previsione dell'art. 634 c.c., in quanto contraria alla esplicazione della libertà matrimoniale, fornita di copertura costituzionale attraverso gli artt. 2 e 29 Cost. Pertanto, essa si considera non apposta, salvo che risulti che abbia rappresentato il solo motivo ad indurre il testatore a disporre, ipotesi nella quale rende nulla la disposizione testamentaria".
Si tratta di una pronuncia di rottura, in cui la Cassazione assume una posizione tranchant rispetto all'atteggiamento decisamente più possibilista (e a mio parere più equilibrato) emerso in numerose sentenze precedenti.
Riporto i passaggi logici fondamentali che emergono dalla motivazione in diritto:
1. il principio di libertà di testare trova un limite nelle ipotesi di impossibilità e illiceità della condizione apposta;
2. in ossequio al favor testamenti, l'art. 634 c.c. prevede che la condizione illecita o impossibile si consideri non apposta;
3. sebbene l'art. 636 c.c. preveda l'illiceità della condizione che vieta le prime nozze o le ulteriori, la giurisprudenza di legittimità ha sempre interpretato la norma restrittivamente;
4. di conseguenza, solo il divieto assoluto di nozze è considerato limitativo della libertà del soggetto, che non risulta invece coartata nel caso in cui "la condizione non sia dettata dal fine di impedire le nozze, ma preveda per l'istituito un trattamento più favorevole in caso di mancato matrimonio, e, senza per ciò influire sulle relative decisioni, abbia di mira di provvedere, nel modo più adeguato, alle esigenze dell'istituito, connesse ad una scelta di vita che lo privi degli aiuti materiali e morali di cui avrebbe potuto godere con il matrimonio" (Cass., sent. n. 2122 del 1992);
5. "nella medesima prospettiva, è stata considerata lecita la condizione che lasci un ampio margine di scelta all'istituito, in modo da non porre a suo carico una limitazione psichica intollerabile, e si è esclusa tale intollerabilità nella ipotesi della condizione, apposta dal testatore alle attribuzioni fatte all'erede, di non contrarre matrimonio con persona determinata, o quella di contrarre matrimonio (v. Cass., sent. n. 150 del 1985), ovvero di contrario con persona appartenente alla stessa classe sociale dell'istituito (v. Cass., sent. n. 102 del 1986)";
6. tuttavia, l'illiceità della condizione di contrarre matrimonio non può essere valutata sulla base di elementi soggettivi, come la ricognizione della volontà non coartante del testatore;
7. l'illiceità non deriva da un'interpretazione estensiva dell'art. 636 c.c., ma dall'art. 634 c.c.;
8. detta condizione, infatti, a prescindere dalle intenzioni del de cuius, si pone "in contrasto con norme imperative e con l'ordine pubblico poichè limita la libertà dell'individuo in merito alle fondamentali scelte di vita, in cui si esplica la sua personalità ai sensi dell'art. 2 Cost.";
9. la norma costituzionale, infatti, trova diretta applicazione ai rapporti tra privati quando riguarda i diritti fondamentali della persona.
La posizione, dunque, è categorica: se non ha alcun rilievo l'intenzione del testatore, non vi è più alcuno spazio di ammissibilità. Pertanto, anche se viene lasciato all'istituito il più ampio margine di scelta, la coartazione sussiste poichè "la pur indiretta coartazione della volontà reca, di per sé, vulnus alla dignità dell'individuo, nella misura in cui l'alternativa di fronte alla quale lo colloca la apposizione, da parte del testatore, della condizione testamentaria possa indurlo, con la prospettiva di un vantaggio economico, ad una opzione che limita la libera esplicazione della sua personalità".


7 giugno 2010

L'Officina mobile

L'Officina & Apple

...non ci facciamo mancare niente!

Emanuella Prascina
tramite Ipod Touch

Revocabilità dei soli elementi accidentali contenuti in un testamento

Il caso: Tizio ha confezionato un testamento in cui ha previsto una disposizione del seguente tenore: “Istituisco erede di tutto il mio patrimonio mio figlio Caio, studente universitario, sotto la condizione sospensiva che consegua la laurea entro il ...
In un secondo testamento vuole revocare la sola condizione apposta all'istituzione di erede.

Può farlo?

Il legislatore prevede espressamente che il testamento sia revocabile in ogni momento e che tale facoltà sia irrinunciabile (cfr. artt. 587 e 679 c.c.). Tuttavia, si discute se la revoca possa avere ad oggetto i soli elementi accidentali contenuti nel testamento, indipendentemente dalla disposizione cui accedono.

Teoria negativa:
1.la previsione dell'art. 679 c.c. riguarda le sole disposizioni testamentarie e la condizione non lo è;
2.l'eliminazione di un elemento accidentale della disposizione testamentaria non configura una revoca in senso tecnico, ma piuttosto una sostituzione di un negozio condizionato con un successivo negozio puro;
3.di conseguenza, tale eliminazione-sostituzione non può essere realizzata con la revoca per atto pubblico (art. 680 c.c.), ma solo con un successivo testamento(TALAMANCA), dal momento che un atto inter vivos non può contenere disposizioni di ultima volontà.

Teoria positiva:
1.l'autonomia testamentaria consente al testatore di revocare il testamento in ogni sua parte;
2.non vi sono espressi divieti in merito;
3.il legislatore ha espressamente previsto i casi in cui la revoca è esclusa (cfr. art. 256 c.c.);
4.per quanto riguarda l'ammissibilità di una “revoca” solo per successivo testamento (supra sub 3.), l'art.680 c.c., in tema di revoca parziale, non fa alcuna distinzione di portata o di efficacia a seconda che la revoca sia espressa nella forma dell'atto pubblico o del successivo testamento (CARAMAZZA).

In definitiva, nel caso in cui si opti per la prima tesi, Tizio potrà eliminare la condizione sospensiva apposta all'istituzione di erede solo inserendo nel successivo testamento una istituzione di erede “pura”; ove, invece, si aderisca alla seconda ricostruzione, Tizio potrà inserire nel testamento una clausola del seguente tenore “Revoco la condizione apposta all'istituzione di erede in favore di mio figlio contenuta nel mio testamento ...”.

4 giugno 2010

Edificio costruito da entrambi i coniugi in comunione legale su terreno di proprietà esclusiva di uno di essi

Problema: a chi spetta la proprietà dell'edificio costruito da entrambi i coniugi sul suolo di proprietà esclusiva di uno di essi?

- secondo il principio dell'accessione, il fabbricato dovrebbe appartenere al proprietario del suolo, salvo il riconoscimento di un diritto di credito in capo all'altro;
- secondo le regole degli acquisti in comunione legale dei beni, l'immobile non può essere sottratto alla comunione dei coniugi perché si determina la nascita di un diritto di superficie a favore della comunione, in grado di assicurare la comproprietà del nuovo bene ad entrambi i coniugi (Bianca e giurisprudenza di merito).

a)se opera l’accessione, l’atto traslativo dovrà essere perfezionato dal solo coniuge proprietario;
b)se si applicano le regole della comunione, dovranno intervenire entrambi i coniugi.

Posizione della dottrina maggioritaria --> l'acquisto cade in comunione per le seguenti ragioni:
a)favor communionis;
b)specialità della disciplina dettata dall'art. 177 rispetto al principio dell'accessione ex art. 934 c.c.;
c)la realizzazione di un manufatto sul terreno determina la creazione di un bene nuovo che rientra nella nozione di «acquisti» ex art. 177;
d)la costruzione del fabbricato determina la costituzione ex lege di un diritto di superficie in favore della comunione;
e)soluzione maggiormente aderente ai dettami costituzionali.

Cass. Civ., SS.UU., 651/1996: "Nel regime di comunione legale, la costruzione realizzata durante il matrimonio da entrambi i coniugi, sul suolo di proprietà personale ed esclusiva di uno di essi, appartiene esclusivamente a quest'ultimo in virtù delle disposizioni generali in materia di accessione e pertanto non costituisce oggetto della comunione legale, ai sensi dell'art. 177 comma 1 lett. b) c.c.. In siffatta ipotesi, la tutela del coniuge non proprietario del suolo, opera non sul piano del diritto reale (nel senso che in mancanza di un titolo o di una norma non può vantare alcun diritto di comproprietà, anche superficiaria, sulla costruzione), ma sul piano obbligatorio, nel senso che a costui compete un diritto di credito relativo alla metà del valore dei materiali e della manodopera impiegati nella costruzione".

Nella pratica notarile, l'esigenza di garantire la sicurezza degli acquisti impone l'intervento in atto entrambi i coniugi e l'inserimento nel contratto di una clausola mediante la quale il consorte non proprietario del suolo dichiara «di prendere atto di tutto quanto sopra e di prestare il proprio assenso per quanto possa occorrere, intendendosi comunque trasferito con il presente atto ogni diritto ad esso spettante sul cespite innanzi descritto».

3 giugno 2010

Edificio costruito da uno solo dei comunisti su terreno comune in assenza del consenso degli altri: a chi spetta la proprietà?

Problema: a chi spetta la proprietà dell'edificio costruito da uno solo dei comunisti sul terreno comune in assenza del consenso degli altri (o con espresso dissenso)?
- secondo il principio dell'accessione, il fabbricato dovrebbe appartenere ai proprietari del suolo in proporzione alle rispettive quote;
- la giurisprudenza, al contrario, ritiene nel caso di specie non applicabile il principio dell'accessione.

1.Cass. 3479/1978: il principio dell'accessione opera a prescindere dal consenso di tutti i comunisti e il fabbricato appartiene ai proprietari del suolo in ragione delle rispettive quote.

2.Sentenze in materia di comunione: il principio dell'accessione invertita non opera perché non se ne ravvisano i presupposti.
- il comunista che edifica, seppur senza consenso, sul suolo comune non può essere considerato terzo che sconfina in buona fede sul suolo altrui (cfr. art. 938);
- trovano applicazione, piuttosto, le regole sull'uso della cosa comune (art. 1102);
- in caso di violazione di queste norme, il comunista costruttore attrae nella propria esclusiva sfera giuridica le opere abusivamente edificate.

3.Sentenze in materia di condominio: il principio dell'accessione non opera perché il comunista costruttore non può essere considerato terzo nei confronti degli altri.
La comproprietà del fabbricato sorge solo se edificato nel rispetto delle norme sulle innovazioni apportate dai comunisti (art. 1120) → consenso unanime dei condomini espresso, a pena di nullità, per atto pubblico o scrittura privata.
In violazione di queste norme, l'opera appartiene esclusivamente al condomino che ha violato le norme.

4.Cass. 7523/2007: “... la disciplina dell'accessione contenuta nell'articolo 934 c.c. si riferisce solo alle costruzioni su terreno altrui: essa pertanto non trova applicazione nelle ipotesi di costruzioni eseguite da uno dei comproprietari su suolo comune cui si applica invece la normativa in materia di comunione, con la conseguenza che la comproprietà della nuova opera sorge a favore dei condomini non costruttori solo se essa sia stata realizzata in conformità di detta disciplina, cioè con il rispetto delle norme sui limiti all'uso da parte del comproprietario delle cose comuni: pertanto le opere abusivamente create non possono considerarsi beni condominiali per accessione ma vanno considerati appartenenti al comproprietario costruttore e rientranti nella sua esclusiva sfera giuridica”.

5.Posizione del Notariato: propende per la piena operatività del principio dell’accessione (cfr. Studio CNN 2008 Trimarchi e Pedron, in Riv. Not. n.3 2008).
Le conclusioni cui si perviene sono determinanti nella costruzione di un eventuale atto di trasferimento del bene costruito sul terreno comune:
a)se opera l’accessione, come sostiene il Notariato, l’atto traslativo dovrà essere perfezionato da tutti i comunisti;
b)in mancanza, dovrà intervenire solo colui che ha eretto l’edificio.
Per cautela, la prassi notarile, confermata dallo studio CNN, ritiene opportuno che intervengano nell’atto tutti i comunisti.

Il notaio, qualora sia richiesto di redigere un atto traslativo da uno solo dei comproprietari, è costretto a ricevere l’atto, ma renderà edotte le parti dei rischi di siffatta operazione. È un atto senza controllo sull’effettiva titolarità che però si può rogitare informando adeguatamente le parti della situazione.