1 luglio 2016

La prelazione nell'impresa familiare

NOTAZIONI GENERALI

Si definisce impresa familiare (art. 230-bis c.c.) l'impresa nella quale collaborano in maniera continuativa il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado. Ai fini della collaborazione rileva tanto l'attività prestata nell'impresa quanto il lavoro nella famiglia. 
L'istituto, nato per tutelare il familiare che presti la propria attività nell'impresa (salvo che ciò non dia luogo ad un diverso rapporto, garantisce al collaboratore una serie di diritti di natura patrimoniale e amministrativa.

Diritti patrimoniali - in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato
  1. diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia;
  2. diritto agli utili dell'impresa familiare ed ai beni con essi acquistati;
  3. diritto agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento;
  4. diritto di prelazione sull'azienda in caso di divisione ereditaria o di trasferimento.
Diritti amministrativi:
  1. diritto di esprimere il proprio voto circa le decisioni relative all'impiego degli utili e degli incrementi, alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell'impresa.
Tali decisioni, infatti, devono essere adottate a maggioranza dai familiari che partecipano all'impresa.

Il diritto di partecipazione all'impresa famigliare è intrasferibile, a meno che il trasferimento non avvenga in favore di un familiare contemplato dalla norma con il consenso unanime dei partecipanti. Alla cessazione del lavoro o in caso di trasferimento dell'azienda, il diritto di partecipazione deve essere liquidato in denaro.

Sotto il profilo strutturale, l'impresa familiare è un'impresa individuale
  • il familiare imprenditore è l'unico titolare dell'impresa e dei beni aziendali;
  • il diritti patrimoniali dei partecipanti si configurano quali diritti di credito nei confronti dell'imprenditore;
  • la gestione ordinaria spetta esclusivamente all'imprenditore;
  • l'imprenditore agisce in nome proprio;
  • nel caso in cui l'impresa familiare eserciti un'attività commerciale, un eventuale fallimento coinvolgerà il solo imprenditore.


LA PRELAZIONE NELL'IMPRESA FAMILIARE

In generale:
L'art. 230-bis, co. 5, c.c. riconosce ai partecipanti all'impresa familiare il diritto di prelazione in caso di:
  • divisione ereditaria (artt. 713 ss. c.c.);
  • trasferimento dell'azienda.
Il diritto di prelazione consiste, in generale, "nel diritto di essere preferito ad altri, a parità di condizioni, nella conclusione di un determinato contratto" (M.C. Diener, Il contratto in generale, Milano, 2002, p. 162):
  • è una prelazione legale, in quanto prevista dalla legge;
  • è una prelazione propria, in quanto disposta a tutela dell'interesse privato del preferito alla conservazione dell'impresa all'interno della famiglia.

Disciplina:

Al fine di consentire agli aventi diritto l'esercizio della prelazione, il promittente è tenuto a dare comunicazione ai familiari dell'intento di concludere con altri un determinato contratto (cd. denuntiatio), assegnando loro un congruo spatium deliberandi per esercitare il diritto di prelazione (generalmente entro due mesi dall'ultima notificazione). Con riferimento all'accertamento di eventuali aventi diritto alla prelazione, il potenziale acquirente o il notaio chiamato a ricevere l'atto di trasferimento potranno effettuare questa verifica sulla base delle iscrizioni presso la Camera di Commercio o dell'esistenza di una gestione INPS quale collaboratore non dipendente.

Si discute circa le conseguenze di una violazione dell'obbligo di denuntiatio e della conclusione del contratto con un terzo in spregio del diritto di prelazione del familiare. La questione attiene, evidentemente, alla natura reale o obbligatoria della prelazione nell'impresa familiare. 
Nel primo caso, il familiare avrà un diritto potestativo ad esercitare il retratto e a subentrare nel contratto stesso [nel termine ordinario di prescrizione decennale (Cass. civ. 3465/2013)]. Nel secondo caso, invece, il familiare ha un mero diritto al risarcimento del danno nei confronti del promittente. La dottrina e la giurisprudenza che si sono occupate del tema hanno fondato il proprio convincimento sull'interpretazione del richiamo (nei limiti in cui è compatibile) all'art. 732 c.c. contenuto nel quinto comma dell'art. 230-bis c.c. (in proposito, v. diffusamente la motivazione di Cass. civ., sez. Lav., 19 novembre 2008, n. 27475).
  • A tal proposito, alcuni autori hanno ritenuto che detto richiamo riguardi esclusivamente la disciplina del diritto di prelazione, ma non il retratto. Come osservato da Cass., SS. UU., 14 giugno 2007, n. 13886, "la limitazione del potere dispositivo del proprietario trova giustificazione nella funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost.), sicché il sacrificio imposto in funzione dell'interesse superindividuale conferisce alla norma che lo prevede l'inevitabile carattere della eccezionalità, con la conseguenza della inapplicabilità della disciplina oltre i casi tipici regolati”. Ne deriva, pertanto, che il retratto può essere esercitato solo là dove previsto espressamente dalla norma.
  • Secondo altra impostazione, il richiamo all'art. 732 c.c. deve essere inteso nella sua interezza e, quindi, includendo il retratto. In questo modo, risulta rispettato il principio enunciato dalle Sezioni Unite sopra citate, in quanto l'integrale rinvio alla norma del 732 consente di ritenere che il diritto di retratto sia previsto espressamente dalla legge. In tal senso deporrebbe, altresì, la comune ratio degli istituti, volta a conservare in seno alla famiglia un determinato patrimonio. 

Ipotesi

Il profilo di maggiore interesse della prelazione nell'impresa familiare è rappresentato dalla individuazione delle ipotesi che ne consentono l'esercizio (sul punto, diffusamente, A. Areniello, Impresa familiare: la prelazione nella divisione ereditaria. L'esercizio della prelazione, in Riv. not., 2002, I, pt. 1, pp. 73-87) .

Con riferimento al caso della divisione ereditaria, la dottrina ha diversamente interpretato questa indicazione legislativa:
  • secondo GHIDINI, la norma si riferisce al trasferimento dell'azienda a scopo divisionale effettuato dai coeredi in favore di estranei;
  • secondo CORSI, il riferimento alla divisione rappresenta un criterio per la formazione delle quote: l'erede partecipante è preferito agli altri coeredi nell'assegnazione dell'azienda nella sua porzione.
Ben più complessa è l'ipotesi del trasferimento d'azienda:
  • senza dubbio, sono inclusi tutti i casi di trasferimento inter vivos a titolo oneroso;
  • si discute circa i trasferimento a titolo gratuito e le donazioni: secondo alcuni autori, tali ipotesi non determinano un diritto di prelazione, in quanto il corrispettivo è determinante al fine di rispettare il requisito della parità di condizioni; altra dottrina sostiene che il concetto di trasferimento riguardi ogni tipo di cessione.
  • per quanto attiene ai trasferimenti mortis causa, il Tribunale di Macerata, in una pronuncia del 2000, ha ritenuto che la prelazione sussista anche in tali casi.
Nell'ambito dei trasferimenti onerosi per atto tra vivi, si deve ritenere, in via generale, che la prelazione sussista in ogni caso in cui il mutamento dell'acquirente non pregiudichi l'interesse sotteso al trasferimento:
  • nella permuta, si esclude la prelazione quando il contratto ha ad oggetto un bene infungibile;
  • nella transazione è esclusa la prelazione;
  • in caso di vendita forzata e di divisione ordinaria, sussiste il diritto del familiare alla prelazione;
  • si discute in merito all'usufrutto e all'affitto di azienda, in quanto la norma fa riferimento al trasferimento dell'intera azienda e non già di diritti su di essa;
  • parimenti discussa è l'ipotesi del conferimento d'azienda, in quanto il corrispettivo della partecipazione in società può avere carattere infungibile per il trasferente.