10 settembre 2016

Le categorie speciali di azioni

Generalità
L'art. 2348, co. 1, c.c. stabilisce il principio di eguaglianza delle azioni, in virtù del quale "le azioni devono essere di uguale valore e conferiscono ai loro possessori uguali diritti". Detto principio, tuttavia, deve essere inteso in senso relativo, dal momento che lo statuto o successive modificazioni di esso (aumenti di capitale onerosi o delibere di conversione) possono creare categorie di azioni fornite di diritti diversi rispetto a quelle ordinarie, purchè, nell'ambito di ciascuna categoria, sia rispettato il principio di uguaglianza.
La società può liberamente determinare il contenuto dei differenti diritti connessi alle azioni speciali (principio di atipicità delle azioni), nei limiti imposti dalla legge. Tali limiti consistono:
  1. nel principio di uguaglianza delle azioni: tutte le azioni appartenenti ad una categoria hanno uguale valore e conferiscono uguali diritti;
  2. nel divieto del patto leonino: le azioni speciali non possono escludere la partecipazione agli utili e alle perdite della società;
  3. nel diritto di impugnare le delibere assembleari;
  4. nel principio di integrità del capitale sociale;
  5. nei diritti inderogabili dei soci.
Si discute se possano essere create azioni che conferiscano il diritto di nominare l'organo amministrativo, atteso che gli artt. 2364, co. 1, n. 2) e 2383, co. 1 c.c. stabiliscono che tale potere spetti all'assemblea ordinaria. Al contrario, l'art. 2351, co. 5 c.c. prevede espressamente che gli strumenti finanziari partecipativi possano essere dotati del diritto di nominare un componente indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco. 
Malgrado alcune voci contrarie in dottrina (v. L. Genghini, P. Simonetti, Le società di capitali e le cooperative, I, Padova, 2015, p. 207), i Consigli Notarili di Firenze (15/2010 e 47/2014) e Milano (142) risolvono positivamente la questione. E' stato, infatti osservato che la legittimità delle clausole che attribuiscono il diritto di nominare uno o più componenti degli organi sociali trovi il proprio fondamento nel principio di atipicità delle azioni, nella citata previsione in tema di strumenti finanziari, nonchè in una lettura evolutiva dell'art. 2368, co. 1 c.c. (per la nomina delle cariche sociali lo statuto può prevedere norme particolari).
È legittima la clausola dello statuto di una s.p.a. che attribuisca ad una o più categorie di azioni il diritto di nominare una componente minoritaria del consiglio di amministrazione o degli organi di controllo; ove una di tali categorie sia titolare della maggioranza dei voti esercitabili nelle deliberazioni in esame, può esserle riconosciuto il diritto di nominare la maggioranza o la totalità dei componenti di detti organi. (Firenze 15/2010)
E’ legittima la clausola dello statuto di una società per azioni non quotata con sistema tradizionale di amministrazione e controllo, che riconosca a due distinte categorie di azioni il diritto di nominare, rispettivamente, la maggioranza (o la totalità) dell’organo di amministrazione e la maggioranza (o la totalità) dell’organo di controllo, purché ciascuna di tali categorie sia titolare della maggioranza dei diritti di voto esercitabili nelle deliberazioni aventi per oggetto, rispettivamente, la nomina degli amministratori e la nomina del collegio sindacale. (Firenze 47/2014)
É legittima la clausola statutaria che attribuisce a una o più categorie di azioni, quale "diritto diverso" ai sensi dell'art. 2348 c.c., il diritto di nominare uno o più componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale, o del consiglio di sorveglianza nel sistema dualistico. (Milano 142)
Per effetto del Decreto Competitività 2014 (d.l. 24 giugno 2014, n. 91) è venuto meno il limite rappresentato dal principio one share - one vote, con la conseguenza che è oggi possibile emettere azioni a voto plurimo (cfr. A. Busani, M. Sagliocca, Le azioni non si contano, ma si "pesano": superato il principio one share one vote con l'introduzione delle azioni a voto plurimo e a voto maggiorato, in Soc., 2014, 10, pp. 1048-1060).

Gli azionisti di categoria sono tutelati dalla previsione dell'art. 2376 c.c., la quale prevede che le deliberazioni dell'assemblea che pregiudicano (in maniera diretta ed attuale) i diritti di una categoria debbano essere approvate (a maggioranza) anche dall'assemblea degli appartenenti alla categoria interessata, alla quale trovano applicazione le regole in tema di assemblea straordinaria.
L'approvazione (precedente o successiva) da parte dell'assemblea speciale è richiesta soltanto là dove la delibera pregiudichi i diritti della categoria e non quando essa incida sui diritti di tutti gli azionisti. 
La dottrina ha diversamente interpretato il rapporto esistente tra delibera dell'assemblea generale e approvazione dell'assemblea speciale:
  1. Tesi della condizione di validità (Galgano): la delibera assembleare che pregiudichi i diritti di categoria e che non sia approvata dall'assemblea speciale è annullabile;
  2. Tesi dell'unico atto complesso (Ferri): la mancata approvazione dell'assemblea speciale determina l'inesistenza della delibera assembleare;
  3. Tesi della condizione di efficacia: in mancanza di approvazione da parte dell'assemblea speciale, la delibera assembleare non produce effetti nei confronti degli azionisti di categoria (inefficacia relativa).

Alcune categorie speciali di azioni previste dalla legge

Azioni di risparmio (art. 145 ss. T.U.F.)
Si tratta di azioni volte ad incentivare l'investimento da parte degli azionisti risparmiatori, i quali non sono interessati alla gestione sociale, ma piuttosto alla redditività della partecipazione.
  • Sono istituzionalmente prive del diritto di voto, di conseguenza gli azionisti di risparmio non possono intervenire in assemblea nè impugnare le relative deliberazioni;
  • non vengono computate nei quorum costitutivi e deliberativi;
  • il loro valore non può superare complessivamente la metà del capitale sociale (art. 2351, co. 2, c.c.);
  • sono dotate di particolari privilegi di natura patrimoniale, determinati dall'autonomia statutaria, come, ad esempio, un rimborso maggiorato nelle riduzioni reali del capitale o la postergazione nelle perdite;
  • possono essere al portatore;
  • non possono essere emesse in sede di costituzione della società, ma soltanto mediante una modificazione statutaria (aumento di capitale, delibera di conversione);
  • sono dotate di un rappresentante comune con il compito di dare esecuzione alle delibere dell'assemblea speciale degli azionisti di risparmio. Esso può assistere alle assemblee della società;
  • attribuiscono all'azionista il diritto di opzione negli aumenti onerosi di capitale. Il diritto di opzione ha ad oggetto la sottoscrizione di azioni di risparmio della medesima categoria o, in mancanza, (nell'ordine) su azioni di risparmio di altra categoria, sua azioni privilegiate o su azioni ordinarie;
  • in caso di aumento gratuito del capitale hanno diritto a ricevere, proporzionalmente, azioni della medesima categoria. 
Azioni privilegiate (art. 2350, co. 1, c.c.)
Il privilegio, determinato dall'autonomia statutaria nei limiti imposti dalla legge, può riguardare:
  • la ripartizione degli utili (azioni privilegiate in senso stretto e azioni di priorità);
  • il rimborso del capitale in sede di liquidazione (diritto ad un rimborso maggiore e rimborso prioritario)
  • altri privilegi, anche se non patrimoniali.
Azioni postergate (art. 2348, co. 2, c.c.)
Tali azioni attribuiscono il diritto di subire le perdite in via postergata (totale o parziale) rispetto alle altre azioni.

Azioni speciali in relazione al diritto di voto (art. 2351, co. 2, c.c.)
Il valore delle azioni di questa categoria non può superare complessivamente la metà del capitale sociale sottoscritto. 
  • senza diritto di voto: a differenza delle azioni di risparmio, la soppressione del diritto di voto non si accompagna ad alcun privilegio patrimoniale. Il titolare non ha diritto di intervento in assemblea nè quello di impugnare le relative delibere.
  • a voto limitato a particolari argomenti
  • a voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative
E' altresì consentita la limitazione del diritto di voto ad una misura massima nonchè il cd. voto a scalare (cfr. Triveneto H.B. 5). Si deve, tuttavia, osservare che tali previsioni non determinano una categoria speciale di azioni: la limitazione del diritto di voto, infatti, non è una caratteristica della singola azione, ma afferisce al numero complessivo delle azioni detenute da un soggetto (Triveneto H.B. 30). Ne deriva, pertanto, l'inapplicabilità del limite quantitativo indicato dall'art. 2351, co. 2, c.c.

Azioni correlate (art. 2350, co. 2 e 3, c.c.)
Questa categoria di azioni prevede che i diritti patrimoniali connessi alla partecipazione sociale siano correlati ai risultati dell'attività sociale in un determinato settore, secondo i criteri e la disciplina dettata dallo statuto.

Azioni di godimento (art. 2353 c.c.)
Si tratta delle azioni che vengono assegnate, salvo diversa disposizione statutaria, ai possessori delle azioni rimborsate. Non attribuiscono (istituzionalmente) il diritto di voto (si tratta, tuttavia, di una regola derogabile), ma consentono all'azionista di concorrere alla ripartizione degli utili che residuano dopo il pagamento delle azioni non rimborsate nonchè nella ripartizione del patrimonio sociale in sede di liquidazione dopo il rimborso delle altre azioni. In questo modo, si consente all'azionista - il quale viene rimborsato del valore nominale - di non subire il danno patrimoniale determinato dalla differenza tra il valore reale dell'azione e il valore di rimborso: esso, infatti, conserva i diritti patrimoniali connessi alla partecipazione rimborsata, seppur in via postergata rispetto agli azionisti non rimborsati.
L'emissione di tali azioni si realizza, generalmente, nei casi di riduzione reale del capitale sociale, la quale determina, appunto, il rimborso del conferimento. L'emissione è facoltativa, nel caso in cui il rimborso delle azioni sia effettuato proporzionalmente; è, invece, obbligatoria nelle riduzioni realizzate mediante sorteggio e annullamento di azioni, in quanto disposta per assicurare la parità di trattamento degli azionisti. Alcuni autori, tuttavia, ritengono che anche in tale circostanza non vi sia alcun obbligo di emissione, in quanto il rischio del sorteggio grava ugualmente su tutti i soci e non determina alcuna disparità tra di essi. 
E' oggetto di discussione il riconoscimento della qualità di azionista in capo al possessore di azioni di godimento e, di conseguenza, dei diritti sociali ad essa connessi, specie nelle ipotesi di operazioni sul capitale. 

Azioni riscattabili (art. 2437-sexies c.c.)
Si tratta di azioni o di categorie di azioni che soggiacciono al diritto potestativo - attribuito ai soci o alla società - di riscatto con efficacia reale in presenza di determinate condizioni dettate dallo statuto. 
La riscattabilità delle azioni a norma dell'art. 2437-sexies c.c., intesa come soggezione delle stesse al potere di riscatto da parte della società o dei soci, può essere una delle caratteristiche ovvero l'unica caratteristica che le differenzia dalle altre azioni che compongono il capitale, concretandosi in tal modo "categoria", a norma dell'art. 2348 secondo comma. La stessa riscattabilità può inoltre essere prevista quale condizione in cui qualsiasi azione può incorrere, al verificarsi di particolari eventi (ad esempio, a seguito del mancato rispetto del diritto di prelazione o di altro vincolo statutario alla circolazione ovvero per il superamento di un predeterminato limite di possesso, sia verso l'alto che ver-so il basso). La soggezione di azioni o categorie di azioni al riscatto può essere stabilita, oltre che in sede di atto costitutivo, anche con successiva modifica statutaria, purché consti - ove si tratti di attribuire tale carattere ad azioni già in circolazione -il consenso dei titolari di tali azioni. Le azioni riscattabili possono essere invece previste con delibera assembleare adottata con le maggioranze normalmente richieste per le modificazioni dello statuto qualora:
-sia consentito (e non imposto) ai soci di trasformare le loro azioni in azioni riscattabili ovvero
-si tratti di aumento di capitale a pagamento con emissione di nuove azioni riscattabili, ovvero
-la riscattabilità sia prevista quale condizione in cui qualsiasi azione può incorrere al verificarsi di particolari situazioni e -al momento dell'inserimento -nessuno degli azionisti si trovi in tali situazioni (ad esempio, qualora sia previsto che il riscatto possa operare in caso di superamento di una determinata soglia di possesso azionaria, e nessuno degli azionisti possieda, al momento dell'inserimento, quella quota). (Milano 99)
Azioni a favore dei prestatori di lavoro (art. 2349 c.c.)
In presenza di una apposita previsione statutaria, l'assemblea straordinaria può assegnare individualmente utili ai prestatori di lavoro mediante l'emissione di speciali categorie di azioni. Il procedimento prevede due fasi:
  • delibera di assegnazione degli utili ai lavoratori con accantonamento in una riserva vincolata a loro favore
  • aumento di capitale gratuito con emissione di azioni speciali in favore dei lavoratori.
Unitamente a queste ipotesi espressamente disciplinate, lo statuto può liberamente determinare il contenuto delle azioni appartenenti ad una determinata categoria, salvi i limiti già visti. La dottrina notarile ha segnalato:
  • azioni che attribuiscono al titolare un diritto di opzione maggiorato negli aumenti onerosi del capitale;
  • azioni con limiti alla circolazione (Milano 95);
  • azioni con diritto di voto determinante (Milano 73);
  • azioni con diritto di recesso statutario o prive del diritto di recesso derogabile;
  • azioni che prevedono una ripartizione non proporzionale del corrispettivo di vendita o di riscatto di partecipazioni sociali (Milano 126).

4 settembre 2016

Le cause di scioglimento delle società di capitali

Cenni alla procedura di scioglimento e di liquidazione delle società di capitali

Le cause di scioglimento delle società di capitali risultano dall'elencazione contenuta nell'art. 2484 c.c. Per effetto della riforma del 2003, il verificarsi di una causa di scioglimento non produce effetti fino a che gli amministratori non iscrivano nel registro delle imprese la dichiarazione di accertamento dell'intervenuta causa di scioglimento (cfr. art. 2484, co. 3, c.c.). 

L'adempimento di questa formalità impone agli amministratori di procedere, senza indugio, alla convocazione dell'assemblea per la nomina dei liquidatori. Durante la fase di liquidazione - inderogabile - la società continua la propria attività, essendo esclusivamente mutato lo scopo sociale: dallo svolgimento in comune di un'attività economica alla definizione di tutti i rapporti pendenti. Soltanto al termine di tale procedura, sarà possibile estinguere la società.


Le cause di scioglimento della società

1) Decorso del termine di durata
Questa causa di scioglimento, per effetto della riforma del 2003, rappresenta una mera eventualità, in quanto è ormai consentito che la società sia costituita a tempo indeterminato. Di conseguenza, detta causa opererà soltanto là dove lo statuto preveda espressamente un termine di durata.
Lo scioglimento, tuttavia, può essere evitato mediante una proroga del termine. Tale modificazione statutaria, da adottare nel rispetto delle regole previste per tali interventi, può intervenire sia prima dello spirare del termine che successivamente. In questo ultimo caso, se la delibera di proroga venga adottata successivamente all’iscrizione nel registro delle imprese della dichiarazione con la quale gli amministratori hanno constatato, ai sensi dell’art. 2484, co. 3, c.c., l’intervenuta causa di scioglimento, essa richiederà necessariamente una preventiva delibera di revoca dello stato di liquidazione.
Si discute circa l’ammissibilità di una proroga tacita, cioè della possibilità di prolungare a tempo indeterminato la durata della società per effetto della continuazione dell’attività in seguito alla scadenza del termine. Prima della riforma, questa ipotesi era esclusa recisamente dal fatto che la previsione del termine di durata della società rappresentava un elemento indefettibile del contratto. Di conseguenza, una clausola statutaria di rinnovazione tacita della società era considerata nulla.
L’intervenuta modifica delle regole preposte alla durata della società e, in particolare, l’ammissibilità di una società costituita a tempo indeterminato hanno indotto la dottrina a ripensare il divieto con riferimento alle clausole di proroga tacita. Se, infatti, non si discute circa l’ammissibilità di una proroga tacita, attesa la necessità di rispettare la procedura necessaria per le modifiche statutarie, si reputa, al contrario, legittima una clausola con la quale si preveda che la durata della società è prorogata a tempo indeterminato, fatto salvo il diritto di recesso del socio, qualora l’attività sociale sia proseguita in seguito allo scadere del termine. Tale clausola, pertanto, impedisce di configurare una responsabilità degli amministratori per l’omessa dichiarazione dello scioglimento dopo la scadenza del termine, là dove sia possibile ravvisare una prosecuzione dell’attività sociale.

2) Conseguimento dell’oggetto sociale la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo

Il conseguimento dell'oggetto sociale si realizza allorchè lo scopo economico (diverso dal generico scopo di lucro) per il quale è stata costituita la società risulti definitivamente conseguito, senza possibilità di ulteriore prosecuzione dell'attività sociale. Tale causa può operare soltanto nel caso in cui l'oggetto sociale consista nello svolgimento di operazioni determinate (es. attività di costruzione di una serie determinata di edifici).
L'impossibilità di conseguire l’oggetto sociale consiste nell'«impossibilità – giuridica o materiale – oggettiva, assoluta, irreversibile e definitiva, tale da rendere impossibile in modo assoluto il protrarsi dell’attività, ad esclusione dunque di ogni impedimento temporaneo o di una sopravvenuta antieconomicità dell’impresa» [Trib. Roma, 16 febbraio 2016, conf. Trib. Napoli, 25 maggio 2011]. Sul punto, lo Studio CNN 237-2014/I ha ritenuto che le gravi difficoltà economiche in cui versi la società non possano di per sè integrare tale causa di scioglimento, in quanto anche in presenza di uno stato di insolvenza la società ben potrebbe compiere attività che rappresentano l'oggetto sociale.
Il verificarsi di questa causa di scioglimento può essere impedita attraverso una tempestiva convocazione dell'assemblea volta all'adozione delle opportune modifiche statutarie. La delibera così adottata «non comporta revoca dello stato di liquidazione: pertanto produce effetti sin dalla sua iscrizione al registro delle imprese senza necessità del decorso del termine di 60 giorni prescritto dall’art. 2487 ter, comma 2, c.c.» [Massima J.A. 5 Triveneto].
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3) Impossibilità di funzionamento o continuata inattività dell’assemblea
L'impossibilità di funzionamento dell'assemblea (ordinaria e straordinaria) si verifica nel caso in cui essa appaia stabilmente ed irreversibilmente incapace di adottare le delibere essenziali per lo svolgimento dell'attività sociale [App. Catania, sez. I, 21 aprile 2008, in Vita not., 2008, 2, p. 973]. Questa situazione di stallo può essere determinata dall'inerzia degli amministratori o dall'esistenza di un insanabile dissidio nella compagine sociale [Trib. Alessandria, 13 dicembre 2010, in Foro it., 2011, 2, pt. I, c. 627; Trib. Napoli, 25 maggio 2011, in Foro it., 2012, 5, pt. I, c. 1613; Trib. Milano, 6 marzo 2014] tali da determinare una protratta inattività dell'organo assembleare.

4) Riduzione del capitale al di sotto del limite legale, salvo quanto è disposto dagli artt. 2247 e 2482 ter c.c.
Secondo la dottrina (Spolidoro), la giurisprudenza (Cass. 17 novembre 2005, n. 23262; Cass. 22 aprile 2009, n. 9616) e il Comitato Notarile del Triveneto (H.G.8), l'adozione dei provvedimenti ex artt. 2247 e 2482 ter c.c. opera come condizione risolutiva dello scioglimento già verificatosi per effetto dell'erosione del capitale al di sotto del limite legale.

5)    Casi previsti dagli artt. 2437 quater e 2473 c.c.

6) Deliberazione dell’assemblea
La delibera di scioglimento determina una modificazione statutaria che, come tale, deve essere adottata dall'assemblea straordinaria con le maggioranze previste dall'art. 2369, co. 5, c.c. [Sul punto v. Triveneto J.A.8, J.A.9; J.A.15]. Tale deliberazione può essere invalidata là dove sia possibile ravvisare un'ipotesi di abuso del diritto della maggioranza [da ultimo, Trib. Roma, 4 giugno 2014].

7) Altre cause previste dallo statuto
«L’atto costitutivo è libero di determinare altre cause di scioglimento, oltre a quelle legali, la competenza a deciderle o ad accertarle e ad effettuare gli adempimenti pubblicitari. Non può in ogni caso stabilire per dette cause un’efficacia dello scioglimento nei confronti dei terzi anteriore alla relativa pubblicità da effettuarsi mediante iscrizione nel registro delle imprese» [Triveneto J.A. 3] 
«La previsione statutaria di cause convenzionali di scioglimento della società deve essere accompagnata dall'individuazione dell’organo competente a deliberare o accertare tali cause di scioglimento e ad effettuare i relativi adempimenti pubblicitari; la mancata previsione ed attribuzione delle suddette competenze comporta l’inefficacia della clausola statutaria che si limita alla previsione di ipotesi convenzionali di scioglimento» [Triveneto J.A. 6].

8)    Altri casi previsti dalla legge
  1. dichiarazione di nullità (2332 c.c.)
  2. cessazione dall'ufficio di tutti gli amministratori di una s.a.p.a. e mancata sostituzione entro 180 gg (2458, co. 1, c.c.)
  3. art. 145, co. 5, T.U.F.

17 agosto 2016

Disposizioni Testamentarie relative alla Sepoltura e i Diritti di Sepolcro

Ingresso del Cimitero monumentale di Barletta
All'ombra de' cipressi e dentro l'urne
confortate di pianto è forse il sonno
della morte men duro?

U. Foscolo, I Sepolcri

La sorte delle spoglie mortali della persona rappresenta pacificamente un interesse meritevole di tutela, sia sotto un profilo penalistico (cfr. artt. 407 ss. c.p.) sia in ambito civilistico, là dove è riconosciuto il diritto personale di disporre, entro certi limiti, del proprio cadavere (per esempio, destinandolo alla scienza o prestando il proprio consenso alla donazione degli organi) nonchè di manifestare la propria volontà in relazione alle modalità della tumulazione. Si segnala, in proposito, che la legge 30 marzo 2001, n. 130 ha disciplinato la pratica funeraria della cremazione e della conservazione delle ceneri, consentendone altresì la dispersione secondo la volontà del defunto.
A queste disposizioni - aventi quale oggetto specifico la salma - si devono aggiungere quelle relative al luogo della sepoltura, le quali impongono di puntualizzare il complesso ed articolato istituto del diritto di sepolcro. Tale figura comprende una molteplicità di situazioni giuridiche (appare, dunque, più opportuno parlare di diritti di sepolcro, cfr. MUSOLINO, Il diritto di sepolcro: un diritto al plurale, in Riv. Not., 2001, pp. 469 ss.):
Una cappella funeraria 
1. DIRITTO SULL'EDIFICIO CAPPELLA FUNERARIA (diritto sul sepolcro): secondo la ricostruzione prevalente in dottrina e in giurisprudenza, si tratta di un diritto reale, assimilabile al diritto di superficie (cd. proprietà superficiaria cimiteriale), prescrittibile ed espropriabile, il quale può essere oggetto di trasferimento inter vivos e mortis causa (nei limiti delle previsioni della concessione amministrativa per l'edificazione su suolo demaniale, delle prescrizioni dei regolamenti di polizia mortuaria e dell'atto di fondazione).
2. DIRITTO AL SEPOLCRO IN SENSO PROPRIO distinto in:
a. Diritto primario di sepolcro (o diritto di tumulazione): distinto dal diritto reale sull'edificio funerario, individua il diritto di essere seppellito (ius sepulchri) o di seppellire altri (ius inferendi in sepulchrum) in un determinato sepolcro. Si discute circa la natura giuridica di tale diritto. Secondo la posizione prevalente, il diritto primario di sepolcro rappresenta un particolare diritto di carattere reale e patrimoniale, del quale il titolare può disporre per atto tra vivi o mortis causa. Una tesi minoritaria nega il carattere
Una scena del film "The premature burial" (1961)
di Roger Corman
reale di questo diritto, affermandone la natura di diritto di uso personale che si estingue nel momento in cui l'interesse ad esso sotteso (quello alla tumulazione) viene soddisfatto con l'inumazione della salma.

Il diritto primario di sepolcro si distingue, a sua volta, in diritto al sepolcro familiare e diritto al sepolcro ereditario. 
b. Diritto secondario di sepolcro: individua il diritto di accedere al sepolcro in occasione di ricorrenze e di opporsi ad atti che possano recare oltraggio ai resti in esso sepolti. Tale diritto, di natura personalissima e non trasmissibile, è un diritto personale di godimento che spetta a tutti coloro che abbiano un legame familiare e affettivo con il defunto e che può essere esercitato finchè perdura la sepoltura.
3. DIRITTO ALL'INTESTAZIONE DEL SEPOLCRO (ius nomini sepulchri): diritto del fondatore del sepolcro e dei successivi titolari di apporre il proprio nome sul sepolcro.
4. DIRITTO DI SCELTA DEL LUOGO DI SEPOLTURA: diritto personale di scegliere il luogo in cui dovranno essere riposte le proprie spoglie mortali. Esso spetta all'interessato  (e può essere esercitato mediante una disposizione testamentaria o un mandato post mortem) e, in mancanza, ai suoi più stretti congiunti.




Un profilo di particolare rilievo è rappresentato dalle sorti del diritto primario di sepolcro in seguito alla morte del fondatore (per i profili di carattere amministrativo, si rinvia qui). La questione deve essere risolta in relazione alla volontà espressa dal fondatore nell'atto di fondazione. Esso, infatti, può prevedere di destinare il sepolcro ai propri familiari o ai propri eredi. A tal proposito, dunque, si può distinguere tra sepolcro familiare e sepolcro ereditario (sul punto diffusamente Cass. Civ., sez. II, 8 maggio 2012, n. 7000.



Il sepolcro familiare o gentilizio si realizza nel caso in cui il fondatore abbia destinato il sepolcro a sè e alla propria famiglia. Il carattere familiare del sepolcro fa sì che, alla morte del fondatore, il diritto primario di sepolcro spetti, salvo rinuncia, ai suoi familiari iure proprio, anche se essi non abbiano acquistato la qualifica di erede. Tuttavia, a differenza del diritto spettante al fondatore, il diritto dei familiari non può essere oggetto di atti di disposizione e non è trasmissibile. In mancanza di precisazioni da parte del fondatore, una risalente consuetudine individua quali familiari aventi diritto al diritto di sepolcro il coniuge del fondatore, i suoi discendenti di sesso maschile e le rispettive mogli, le discendenti del fondatore rimaste nubili. Sono, pertanto, esclusi i coniugi delle discendenti e i fratelli del fondatore. La giurisprudenza, al contrario, considera familiari tutti coloro che siano legati da un vincolo di sangue con il fondatore (cfr. Cass. Civ., sez. II, 27 settembre 2012, n. 16430).
Si definisce, al contrario, sepolcro ereditario il sepolcro che il fondatore abbia destinato a sè e ai propri eredi. In questo caso, il diritto è suscettibile di atti di disposizione inter vivos e mortis causa, è oggetto di trasmissione ed è disciplinato dalle regole della successione. Si deve precisare, tuttavia, che il trasferimento del diritto è subordinato al rispetto delle prescrizioni dei regolamenti di polizia mortuaria e alla condizione sospensiva legale dell'autorizzazione alla voltura da parte dell'amministrazione competente (Cass. Civ., sez. II, 29 maggio 1990, n. 5015)
Nel caso in cui il fondatore non abbia espresso alcuna volontà circa le sorti del sepolcro, si presume che esso abbia natura familiare. Tuttavia, il sepolcro familiare si converte in sepolcro ereditario allorchè siano deceduti tutti i familiari del fondatore, con la conseguenza che esso si trasmetterà agli eredi dell'ultimo familiare. 


8 agosto 2016

L'Adeguamento degli Statuti Societari alla Riforma del 2003

Per effetto della riforma del diritto societario (d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6), la disciplina delle S.p.A. (e, in generale, delle società di capitali) è stata oggetto di una revisione organica nell'ottica di semplificazione e di ampliamento dell'autonomia privata. Di conseguenza, le società costituite anteriormente all'entrata in vigore della nuova disciplina (1 gennaio 2004) hanno dovuto adeguare i propri statuti alle disposizioni inderogabili da essa introdotte (cfr. art. 223-bis disp. att. cod. civ. e Milano n. 2):
  • Termine per l'adeguamento: 30 settembre 2004;
  • Modalità: delibera dell'assemblea straordinaria a maggioranza semplice (ma v. Massima n. 89 di Milano).
  1. [Temporanea efficacia delle clausole non adeguate] Le clausole statutarie non adeguate mantengono la loro efficacia fino al 30 settembre 2004, anche se non conformi alle disposizioni inderogabili della riforma;
  2. [Divieto di iscrizione] Dal 1 gennaio 2004 non è possibile iscrivere nel registro delle imprese quelle società che,  pur essendo state costituite anteriormente a questa data, presentino atti costitutivi o statuti non conformi al decreto;
  3. [Applicazione anteriore all'entrata in vigore] Le società costituite anteriormente al 1 gennaio 2004 possono già inserire nei propri statuti clausole conformi al decreto, le quali produrranno effetti dal momento, successivo al 1 gennaio 2004, dell'iscrizione nel registro delle imprese.
Il Consiglio Notarile di Milano (Massima 1 - Ambito di applicazione del divieto previsto dall'art. 223 bis) ha precisato che il divieto di iscrizione sub n. 2 non si applica
  • agli atti costitutivi ricevuti e depositati nel registro delle imprese prima del 1 gennaio 2004, anche se non ancora iscritti;
  • alle delibere di modifica degli statuti adottate prima del 1 gennaio 2004, anche se il deposito è stato effettuato successivamente;
  • agli atti di fusione e di scissione, ancorchè stipulati dopo il 31 dicembre 2003, i quali diano esecuzione alle deliberazioni di fusione/scissione adottate prima dell'entrata in vigore della riforma.
Per quanto riguarda la disciplina applicabile alle società costituite anteriormente alla riforma, la Massima n. 5 di Milano prevede che esse siano regolate dalla nuova disciplina, dal momento in cui lo statuto è stato adeguato e, in ogni caso, dal 1 ottobre 2004.
Nel periodo anteriore all'adeguamento e, in mancanza, fino al 30 settembre 2004, dette società sono regolate dai vigenti patti sociali, anche se contrastanti con la nuova disciplina. In mancanza di una disciplina statutaria o in caso di generico rinvio alla legge, troverà applicazione:
  • la vecchia disciplina, se compatibile con le nuove regole;
  • la nuova normativa nei restanti casi.
Con riferimento al rinvio ad una disposizione successivamente modificata, la Massima n. 91 di Milano precisa che le clausole statutarie introdotte prima della riforma le quali facciano rinvio ad una specifica norma oggetto di modifica debbano essere interpretate come rinvio alla disciplina pro tempore vigente, a meno che non sia possibile evincere la volontà di rinviare al testo vigente al momento dell'introduzione della clausola stessa.

Il profilo di maggiore interesse in materia di adeguamento degli statuti alla riforma del 2003 riguarda le ipotesi in cui la società non abbia provveduto ad uniformare il proprio statuto alle disposizione inderogabili di nuova introduzione nei termini previsti dalla legge. In proposito, la relazione alla riforma ha precisato che il mancato adeguamento alle nuove disposizioni di carattere inderogabile impedisce alla società di operare ulteriormente, determinando, pertanto, una causa di scioglimento ope legis.
Questa soluzione, tuttavia, non appare convincente per una serie di ragioni:
  • le nuove disposizioni codicistiche, malgrado le indicazioni contenute nella relazione, non fanno alcun riferimento allo scioglimento;
  • le cause di scioglimento hanno carattere eccezionale e tassativo;
  • la soluzione dello scioglimento contrasta con il principio di conservazione del contratto e  con l'esigenza di preservare l'operatività di un soggetto economico già esistente nel mercato.
Alla luce di questi rilievi, 
  • parte della dottrina (N. ABRIANI, Gli adeguamenti obbligatori degli statuti delle società di capitali alla riforma del diritto societario, in Le Società, 10/2003, p. 1301; C. CERA, Le modifiche degli statuti di S.p.A. alla luce della disciplina transitoria della riforma del diritto societario, in Le Società, 9/2003, p. 1192; U. MORERA, Gli adeguamenti dell’atto costitutivo e dello statuto alle nuove disposizioni in materia di S.p.A. (art. 223 bis, disp. att. c.c.), in Riv. Notariato, 2003, p. 835) ha ritenuto che il mancato adeguamento determini la sopravvenuta inefficacia delle clausole interessate
  • Secondo altra ricostruzione (L. ENRIQUES – G. SCASSELLATI SFORZOLINI, Adeguamenti statutari: scelte di fondo e nuove opprortunità nella riforma societaria, in Notariato, 2004, pp. 69 s.), il mancato adeguamento è causa di sopravvenuta nullità della clausola per contrasto con una norma inderogabile
In ogni caso, nessuna delle due soluzioni proposte è idonea ad integrare la causa di scioglimento rappresentata dall'impossibilità di funzionamento dell'organo amministrativo o dall'impossibilità di conseguire l'oggetto sociale, in quanto si ritiene operante il rimedio della sostituzione di diritto (art. 1419 cod. civ., ultimo comma) con il regime legale a far data dal 1 ottobre 2004 (come già detto, infatti, sino a tale data le vecchie clausole conservano efficacia anche se non sono conformi alle disposizioni inderogabili - operatività sospesa delle nuove norme inderogabili). A ciò si deve aggiungere la responsabilità degli amministratori e dei sindaci per l'omissione derivante dal mancato adeguamento delle clausole.

A tal proposito, il CNN (Gli adeguamenti a norme inderogabili ex art. 223-bis disp. att. cod. civ. - Studio CNN 5277/I) ha precisato che lo scioglimento non si determina neanche nel caso in cui la società non abbia provveduto ad adeguare l'importo del capitale sociale al minimo imposto dall'art. 2327 c.c., in quanto lo stesso art. 223-ter disp. att. ne prevede la salvezza (“le società per azioni costituite prima del 1° gennaio 2004 con un capitale sociale inferiore a centoventimila euro possono conservare la forma della società per azioni per il tempo, stabilito antecedentemente alla data del 1° gennaio 2004, della loro durata”). Naturalmente, là dove i soci decidessero di prorogare la durata della società, essi dovrebbero contestualmente adeguare il valore del capitale per non incorrere nell'ipotesi di scioglimento per riduzione del capitale al di sotto del minimo legale. Sul punto v. Massima n. 6 di Milano.

Per approfondire:

1 luglio 2016

La prelazione nell'impresa familiare

NOTAZIONI GENERALI

Si definisce impresa familiare (art. 230-bis c.c.) l'impresa nella quale collaborano in maniera continuativa il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado. Ai fini della collaborazione rileva tanto l'attività prestata nell'impresa quanto il lavoro nella famiglia. 
L'istituto, nato per tutelare il familiare che presti la propria attività nell'impresa (salvo che ciò non dia luogo ad un diverso rapporto, garantisce al collaboratore una serie di diritti di natura patrimoniale e amministrativa.

Diritti patrimoniali - in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato
  1. diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia;
  2. diritto agli utili dell'impresa familiare ed ai beni con essi acquistati;
  3. diritto agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento;
  4. diritto di prelazione sull'azienda in caso di divisione ereditaria o di trasferimento.
Diritti amministrativi:
  1. diritto di esprimere il proprio voto circa le decisioni relative all'impiego degli utili e degli incrementi, alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell'impresa.
Tali decisioni, infatti, devono essere adottate a maggioranza dai familiari che partecipano all'impresa.

Il diritto di partecipazione all'impresa famigliare è intrasferibile, a meno che il trasferimento non avvenga in favore di un familiare contemplato dalla norma con il consenso unanime dei partecipanti. Alla cessazione del lavoro o in caso di trasferimento dell'azienda, il diritto di partecipazione deve essere liquidato in denaro.

Sotto il profilo strutturale, l'impresa familiare è un'impresa individuale
  • il familiare imprenditore è l'unico titolare dell'impresa e dei beni aziendali;
  • il diritti patrimoniali dei partecipanti si configurano quali diritti di credito nei confronti dell'imprenditore;
  • la gestione ordinaria spetta esclusivamente all'imprenditore;
  • l'imprenditore agisce in nome proprio;
  • nel caso in cui l'impresa familiare eserciti un'attività commerciale, un eventuale fallimento coinvolgerà il solo imprenditore.


LA PRELAZIONE NELL'IMPRESA FAMILIARE

In generale:
L'art. 230-bis, co. 5, c.c. riconosce ai partecipanti all'impresa familiare il diritto di prelazione in caso di:
  • divisione ereditaria (artt. 713 ss. c.c.);
  • trasferimento dell'azienda.
Il diritto di prelazione consiste, in generale, "nel diritto di essere preferito ad altri, a parità di condizioni, nella conclusione di un determinato contratto" (M.C. Diener, Il contratto in generale, Milano, 2002, p. 162):
  • è una prelazione legale, in quanto prevista dalla legge;
  • è una prelazione propria, in quanto disposta a tutela dell'interesse privato del preferito alla conservazione dell'impresa all'interno della famiglia.

Disciplina:

Al fine di consentire agli aventi diritto l'esercizio della prelazione, il promittente è tenuto a dare comunicazione ai familiari dell'intento di concludere con altri un determinato contratto (cd. denuntiatio), assegnando loro un congruo spatium deliberandi per esercitare il diritto di prelazione (generalmente entro due mesi dall'ultima notificazione). Con riferimento all'accertamento di eventuali aventi diritto alla prelazione, il potenziale acquirente o il notaio chiamato a ricevere l'atto di trasferimento potranno effettuare questa verifica sulla base delle iscrizioni presso la Camera di Commercio o dell'esistenza di una gestione INPS quale collaboratore non dipendente.

Si discute circa le conseguenze di una violazione dell'obbligo di denuntiatio e della conclusione del contratto con un terzo in spregio del diritto di prelazione del familiare. La questione attiene, evidentemente, alla natura reale o obbligatoria della prelazione nell'impresa familiare. 
Nel primo caso, il familiare avrà un diritto potestativo ad esercitare il retratto e a subentrare nel contratto stesso [nel termine ordinario di prescrizione decennale (Cass. civ. 3465/2013)]. Nel secondo caso, invece, il familiare ha un mero diritto al risarcimento del danno nei confronti del promittente. La dottrina e la giurisprudenza che si sono occupate del tema hanno fondato il proprio convincimento sull'interpretazione del richiamo (nei limiti in cui è compatibile) all'art. 732 c.c. contenuto nel quinto comma dell'art. 230-bis c.c. (in proposito, v. diffusamente la motivazione di Cass. civ., sez. Lav., 19 novembre 2008, n. 27475).
  • A tal proposito, alcuni autori hanno ritenuto che detto richiamo riguardi esclusivamente la disciplina del diritto di prelazione, ma non il retratto. Come osservato da Cass., SS. UU., 14 giugno 2007, n. 13886, "la limitazione del potere dispositivo del proprietario trova giustificazione nella funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost.), sicché il sacrificio imposto in funzione dell'interesse superindividuale conferisce alla norma che lo prevede l'inevitabile carattere della eccezionalità, con la conseguenza della inapplicabilità della disciplina oltre i casi tipici regolati”. Ne deriva, pertanto, che il retratto può essere esercitato solo là dove previsto espressamente dalla norma.
  • Secondo altra impostazione, il richiamo all'art. 732 c.c. deve essere inteso nella sua interezza e, quindi, includendo il retratto. In questo modo, risulta rispettato il principio enunciato dalle Sezioni Unite sopra citate, in quanto l'integrale rinvio alla norma del 732 consente di ritenere che il diritto di retratto sia previsto espressamente dalla legge. In tal senso deporrebbe, altresì, la comune ratio degli istituti, volta a conservare in seno alla famiglia un determinato patrimonio. 

Ipotesi

Il profilo di maggiore interesse della prelazione nell'impresa familiare è rappresentato dalla individuazione delle ipotesi che ne consentono l'esercizio (sul punto, diffusamente, A. Areniello, Impresa familiare: la prelazione nella divisione ereditaria. L'esercizio della prelazione, in Riv. not., 2002, I, pt. 1, pp. 73-87) .

Con riferimento al caso della divisione ereditaria, la dottrina ha diversamente interpretato questa indicazione legislativa:
  • secondo GHIDINI, la norma si riferisce al trasferimento dell'azienda a scopo divisionale effettuato dai coeredi in favore di estranei;
  • secondo CORSI, il riferimento alla divisione rappresenta un criterio per la formazione delle quote: l'erede partecipante è preferito agli altri coeredi nell'assegnazione dell'azienda nella sua porzione.
Ben più complessa è l'ipotesi del trasferimento d'azienda:
  • senza dubbio, sono inclusi tutti i casi di trasferimento inter vivos a titolo oneroso;
  • si discute circa i trasferimento a titolo gratuito e le donazioni: secondo alcuni autori, tali ipotesi non determinano un diritto di prelazione, in quanto il corrispettivo è determinante al fine di rispettare il requisito della parità di condizioni; altra dottrina sostiene che il concetto di trasferimento riguardi ogni tipo di cessione.
  • per quanto attiene ai trasferimenti mortis causa, il Tribunale di Macerata, in una pronuncia del 2000, ha ritenuto che la prelazione sussista anche in tali casi.
Nell'ambito dei trasferimenti onerosi per atto tra vivi, si deve ritenere, in via generale, che la prelazione sussista in ogni caso in cui il mutamento dell'acquirente non pregiudichi l'interesse sotteso al trasferimento:
  • nella permuta, si esclude la prelazione quando il contratto ha ad oggetto un bene infungibile;
  • nella transazione è esclusa la prelazione;
  • in caso di vendita forzata e di divisione ordinaria, sussiste il diritto del familiare alla prelazione;
  • si discute in merito all'usufrutto e all'affitto di azienda, in quanto la norma fa riferimento al trasferimento dell'intera azienda e non già di diritti su di essa;
  • parimenti discussa è l'ipotesi del conferimento d'azienda, in quanto il corrispettivo della partecipazione in società può avere carattere infungibile per il trasferente.


2 giugno 2016

"Matrimonio, famiglia e legge naturale"

Evento culturale 
"Matrimonio, famiglia e legge naturale"
lunedì 6 giugno 2016 ore 18.30 
Sala rossa del Rettorato dell'Università degli Studi del Sannio Piazza Guerrazzi, Benevento. 


L'incontro sarà l'occasione per presentare il recente libro del prof. A.M. Gambino, prorettore dell'Università europea di Roma, dal quale trae titolo il convegno, nonché per un confronto su tematiche di forte attualità, in un contesto aperto di contenuti e valori. 


21 maggio 2016

Le convivenze di fatto dopo la nuova legge

Lunedì 23 maggio 2016, presso la Biblioteca Storica del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Trani, si parlerà de

LE CONVIVENZE DI FATTO DOPO LA NUOVA LEGGE

L'evento, promosso dall'Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia, dall'Ordine degli Avvocati di Trani e dal Consiglio Notarile di Trani, verterà su
  • I presupposti di applicazione della nuova legge
  • I diritti e i doveri dei conviventi
  • I contratti di convivenza assistiti e autenticati dall'avvocato
  • La risoluzione del contratto
  • La cessazione della convivenza
  • I contratti tra conviventi
  • Le unioni civili



20 maggio 2016

Patrimonio culturale: profili giuridici e tecniche di tutela

Venerdì 20 maggio 2016 - ore 9
Università degli Studi di Roma Tre


Indirizzi di saluto: Mario Panizza (Rettore Università Roma Tre) e Giovanni Serges (Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università degli studi Roma Tre)

Prima sessione: (presieduta da Barbara Cortese e da Ettore Battelli) Maria Alessandra Sandulli, Paolo Maddalena, Sergio Marotta, Francesco Rimoli, Rita Benigni, Paolo Benvenuti e Ugo Mattei.

Seconda sessione: (presieduta Andrea Gemma e Antonella Massaro) Roberto Mascella, Luca Nivarra, Stefano Manacorda, Luca Lupària, Roberto Colasanti e Francesco Longobucco.

Discussione: Aurelio Gentili, Salvatore Mazzamuto, Mario Trapani, Letizia Vacca.

Il Convegno è accreditato dall'Ordine degli Avvocati di Roma (10 c.f.).