25 ottobre 2012

Il consenso dei soci che assumono responsabilità illimitata nella trasformazione regressiva

La trasformazione regressiva è quell'operazione mediante la quale una società di capitali modifica la propria veste giuridica, adottando il modello di una delle società di persone.
Superando le questioni sorte anteriormente alla riforma in relazione alle modalità di assunzione della delibera di trasformazione regressiva, il legislatore ha adottato una soluzione di compromesso, prevedendo la possibilità di una delibera a maggioranza accompagnata dal consenso dei soci che assumono responsabilità illimitata (2500 sexies c.c.). 
Interessante, sul punto, è il problema del ruolo e delle forme mediante le quali deve essere prestato detto consenso. 
Per quanto concerne il rapporto tra consenso e delibera, la dottrina si è divisa in due principali filoni: 
- da un lato, i sostenitori della prestazione del consenso come requisito di validità della delibera; 
- dall’altro, i fautori della tesi della condizione di efficacia. 
Sembra prevalere, tuttavia, questa seconda posizione, dal momento che il socio – come si vedrà in seguito - può prestare il proprio consenso anche al di fuori dell’assemblea e, addirittura, anche dopo l’assemblea, purchè tale volontà si perfezioni prima dell’iscrizione della delibera nel registro delle imprese. 
In riferimento, invece, alla modalità di prestazione del consenso, la tesi più rigorosa ritiene che esso non possa desumersi implicitamente dal voto favorevole espresso dal socio in sede di delibera né che egli possa prestarlo in assemblea affinchè il presidente ne dia atto nel verbale. Di conseguenza, secondo tale ricostruzione, il socio deve esprimerlo chiaramente secondo due modalità: 
- con costituzione in atto, unitamente al soggetto che assumerà la presidenza dell’assemblea, affinchè possa prestare detto consenso e apporre la propria sottoscrizione al verbale; 
 - in alternativa, il consenso potrà essere raccolto aliunde, purchè prima dell’adunanza o per lo meno prima della iscrizione del verbale nel registro delle imprese, con modalità che lo provino con certezza e che ne consentano l’inserimento negli atti sociali. 
La prassi notarile tende, al contrario, a ritenere valido il consenso negoziale espresso dal socio in assemblea, purchè il socio manifesti personalmente ed esplicitamente la propria volontà (non è, dunque, ammissibile un consenso prestato dal delegato ad intervenire in assemblea per conto del socio). Parimenti, si ritiene ammissibile il consenso prestato fuori dall’assemblea, mediante atto separato, che rivesta le forme necessarie in ordine all'adempimento alle formalità pubblicitarie imposte dalla legge. 
In generale, comunque, è preferibile evitare di reputare il consenso implicito nel voto favorevole alla delibera, non solo per ragioni di mera prudenza redazionale, ma anche perché essi si considerano come manifestazioni di volontà distinte, che possono formarsi indipendentemente l’una dall’altra, possono esprimersi non contestualmente e, addirittura, contraddittoriamente. 
La validità di tale affermazione emerge chiaramente nella prassi, per esempio nell’ipotesi di trasformazione regressiva in snc. In tale circostanza, ove voto e consenso fossero un’unica manifestazione di volontà, si determinerebbe una deroga alla regola maggioritaria prevista dalla legge. Poiché, infatti, con tale operazione tutti i soci assumono responsabilità illimitata, la delibera dovrebbe essere adottata all’unanimità. Al contrario, riconoscendo la differenza tra le due manifestazioni di volontà, si salvaguarda il principio maggioritario, nel senso che la delibera può essere adottata anche ove il socio sia assente (senza aver rilasciato alcuna delega) o dissenziente. Inoltre, sempre in linea con questa ricostruzione, il socio dissenziente potrebbe anche rivedere la propria posizione e non esercitare il diritto di recesso. In tal caso, malgrado il suo voto contrario, egli ben potrà esprimere, nelle forme e nelle modalità viste, il proprio consenso all’assunzione di responsabilità illimitata e far sì che la delibera alla quale non ha concorso produca comunque effetti nella sua sfera giuridica.

10 maggio 2012

La divisione del testatore


Il legislatore prevede che il testatore possa intervenire nella divisione operandola direttamente, stabilendo delle norme alle quali i condividenti devono attenersi o incaricando l’esecutore testamentario di effettuarla. In senso stretto, tuttavia, la fattispecie della divisione del testatore si riferisce all’ipotesi prevista dall’art. 734 c.c., il quale prevede che il testatore possa dividere i propri beni tra gli eredi, comprendendo anche la parte non disponibile. Come giustamente osservato, questa ipotesi non configura effettivamente una divisione, ma, piuttosto, una fattispecie attributivo-distributiva. Infatti, i beni di cui il testatore dispone non cadono in comunione ereditaria, ma vanno a comporre la quota di ciascuno degli eredi sin dall’accettazione dell’eredità.

Presupposto indispensabile affinchè si realizzi detta distribuzione è, dunque, la previa istituzione di erede da parte del testatore, come sembra potersi dedurre dall’art. 735 c.c., il quale sanziona con la nullità la sola divisione effettuata escludendo uno degli eredi, ma non l’istituzione, che resta dunque in piedi.
L’istituto presenta innegabili affinità con l’istituzione ex re certa, dalla quale si distingue, tuttavia, per la preliminare istituzione di erede, che, ai sensi dell’art. 588, II co., c.c. sembra far difetto all’institutio, nonché con l’effetto distributivo che si realizza mediante la ripartizione del patrimonio ereditario mediante legati. Quest’ultima fattispecie, tuttavia, pur producendo un analogo risultato distributivo, si distingue dalla divisione del testatore perché non attribuisce la qualità di erede e perché configura una pluralità di negozi mortis causa a carattere particolare.
In linea di massima, il testatore è libero di comporre le porzioni degli eredi come crede, senza doversi attenere alle indicazioni dell’art. 727 c.c. in merito alla formazione delle stesse. Tuttavia, egli incontra il limite della proporzione tra il valore della quota e quello dei beni assegnati nonché il dovere di comprendere nella distribuzione i legittimari, in ossequio al principio di intangibilità quantitativa della legittima.
Tuttavia, quest’ultimo limite, dettato perentoriamente dall’art 735 c.c., deve essere opportunamente contestualizzato. Infatti, poiché la lesione della legittima si palesa solo all’apertura della successione, non può negarsi l’ammissibilità di una divisione cd. soggettivamente (e oggettivamente) parziale, nella quale il testatore apporziona solo la quota di alcuni eredi con alcuni dei beni del suo asse, allorchè vi siano altrettanti beni sufficienti per soddisfare la legittima dei soggetti non espressamente contemplati nella distribuzione testamentaria.
Parimenti, si deve ritenere ammissibile la divisione cd. oggettivamente parziale, mediante la quale il testatore assegna solo parte dei beni, mentre i restanti cadranno in comunione ereditaria tra i coeredi all’apertura della successione. Tale figura trova addentellato normativo nel secondo comma dell’art. 734 c.c., il quale prevede l’apertura della successione legittima sui beni di cui il testatore non abbia disposto, sempre che il testatore non decida di indirizzare diversamente i beni di cui non ha disposto ai sensi del primo comma.
Al contrario, nel caso in cui si realizzi un’effettiva preterizione di qualcuno degli eredi (interpretazione sostanzialista di Forchielli), troverà piena applicazione la sanzione della nullità prevista dall’art. 735 c.c., la quale colpisce la sola divisione. Di conseguenza, alla morte del testatore si instaurerà una comunione ereditaria tra i coeredi.
Sempre in riferimento alla composizione del patrimonio dividendo, la dottrina ha ritenuto di poter trarre dall’art. 734 ben due fattispecie distinte. La prima, di più immediata evidenza, è quella in cui la quota è determinata dallo stesso testatore, che provvede contestualmente a comporla, denominata divisione del testatore con predeterminazione della quota. L’altra deriva dalla riflessione – già esposta – in merito alla differenza tra l’istituto di cui si tratta e la fattispecie dell’art. 588, II co. c.c.. In proposito, si è osservato che, se la differenza fondamentale tra divisone del testatore e institutio ex re certa risiede proprio nella preventiva istituzione di erede, è possibile che la quota in cui l’erede viene istituito non sia predeterminata, ma piuttosto sia determinabile solo all’apertura della successione in relazione al valore del bene attribuito rispetto all’intero asse. Questa modalità di calcolo, che si ritrova nella istituzione in bene determinato, non vale però ad appiattire le due figure. Infatti, si deve osservare che, mentre nella fattispecie del 734 senza predeterminazione di quota la mancanza del bene nell’asse non fa cadere l’istituzione, nell’institutio ex re certa si ritiene, sebbene non unanimemente, che l’istituzione sia implicitamente caducata dall’assenza del bene nel patrimonio relitto.
Ulteriore questione sulla composizione delle quote attiene alla possibilità di prevedere conguagli. In sostanza, si discute se il testatore, consapevole della sperequazione di valore esistente tra i beni da lui assegnati, possa prevedere dei conguagli al fine di riequilibrare le attribuzioni. Una posizione risalente, ritenendo il conguaglio istituto tipico della divisione ereditaria e strettamente connesso alla volontà dei condividenti, ha ammesso che il testatore possa comporre la quota ereditaria con beni e denaro, ove questo sia compreso nel patrimonio, ma che ciò non possa essere considerato tecnicamente un conguaglio. Si tratterebbe, dunque, di un’attribuzione al pari dell’assegnazione del bene. Al contrario, ove tali somme non fossero presenti nel relictum, il testatore disporrebbe di beni non ereditari. L’orientamento giurisprudenziale prevalente sostiene, invece, che l’istituto del conguaglio sia applicabile anche alla divisione del testatore, in quanto strumento indispensabile per garantire l’equità tra le porzioni. Pertanto, ove il testatore imponga all’erede che ha ricevuto il bene di maggior valore di attribuire, a titolo di conguaglio, una somma in favore degli altri coeredi, non si avrebbe una disposizione di beni non ereditari, ma piuttosto un legato con funzione divisoria posto in essere per agevolare le operazioni divisionali e per evitare impugnative della divisione.
La lesione della riserva legittima il coerede ad agire in riduzione nei confronti degli altri (735, II). In tal modo, la divisione effettuata dal testatore resta operativa, ma, per effetto del vittorioso esperimento dell’azione, viene integrata con beni ereditari per soddisfare la porzione del soggetto leso. Ove, invece, si registri una disparità di valore tra bene assegnato e quota di oltre un quarto, è ammessa l’azione di rescissione (763).
Nel caso in cui il testatore attribuisca beni immobili o mobili registrati, si pone il problema della trascrizione dell’acquisto e, in particolare, in virtù di quale norma debba essere curata questa formalità. Una posizione dottrinale ritiene che la trascrizione debba essere presa ai sensi dell’art. 2645, in quanto la divisione del testatore si pone come atto idoneo a realizzare gli effetti dei contratti di cui all’art. 2643. Gazzoni, al contrario, sostiene che la fattispecie rientri pienamente nel disposto dell’art. 2648 c.c., in virtù del quale si deve trascrivere l’accettazione dell’eredità che comporti l’acquisto di diritti immobiliari.

20 aprile 2012

Quando il diritto è poesia: intervista ad Ermanno Bocchini sul Registro delle Imprese

"Il diritto all'informazione è il diritto ad esistere sul mercato"

19 aprile 2012

Nuova Massima di Milano - Organo di controllo e revisione legale dei conti nella s.r.l.

Fresca fresca dal CNN Notizie, pubblico qui di seguito la Massima n. 124 del Consiglio di Milano, che sostituisce la Massima n. 123 del 6 dicembre 2011, in seguito all’emanazione della legge 35/2012 che ha convertito, con modificazioni, il D.L. 5/2012.

Massima n. 124 – in data 3 aprile 2012 [sostitutiva della Massima n. 123] (*) - Organo di controllo e revisione legale dei conti nella s.r.l. (art. 2477 c.c., modificato dal d.l. 5/2012)
In base all’attuale formulazione dell’art. 2477 c.c. – come da ultimo modificato dall’art. 35 d.l. 5/2012, convertito dalla legge 35/2012, in vigore dal giorno 10 febbraio 2012 – il regime legale dei controlli nella s.r.l., in mancanza di diverse previsioni statutarie, è da intendersi nel senso che sia la funzione di controllo di gestione (ex art. 2403 c.c.) sia la funzione di revisione legale dei conti (ex art. 14 d.lgs. 39/2010) sono attribuite ad un unico organo monocratico, genericamente individuato con la locuzione “organo di controllo o revisore”. Si ritiene che l’organo monocratico investito della funzione di controllo e della funzione di revisione possa essere sia un revisore legale dei conti persona fisica, sia una società di revisione legale, iscritti nell’apposito registro. E’ pertanto legittima la clausola statutaria che espressamente preveda tale facoltà. L’autonomia statutaria, rispetto a quanto disposto dal regime legale, può inoltre prevedere le seguenti “varianti” convenzionali: (a) può prevedere che le funzioni di controllo e di revisione siano svolte anche in via facoltativa, fuori dai casi in cui esse sono obbligatorie per legge, oppure può renderle obbligatorie anche oltre a tale ambito; (b) può prevedere che le funzioni di controllo e di revisione, anziché ad un organo monocratico, siano affidate a un organo collegiale (collegio sindacale), per la composizione e il funzionamento del quale si applicano le norme dettate in tema di s.p.a.; (c) può prevedere che le funzioni di controllo e di revisione, anziché cumulativamente al medesimo organo, siano affidate separatamente, attribuendo, da un lato, la funzione di controllo all’organo di controllo (sindaco unico o collegio sindacale), e, dall’altro, la funzione di revisione ad un revisore (persona fisica o società di revisione); (d) può prevedere che le scelte di cui ai due punti precedenti siano effettuate di volta in volta con decisione dei soci, senza modificazione statutaria. La nuova formulazione del primo comma dell’art. 2477 c.c., là dove stabilisce che “Se lo statuto non dispone diversamente, l’organo di controllo è costituito da un solo membro effettivo”, impone un esame caso per caso degli statuti sociali, al fine di verificare se debba intendersi derogato il regime legale, impedendo così la nomina di un organo monocratico in mancanza di una preventiva modificazione dello statuto.

Brad, Angelina e la promessa di matrimonio

La rilevanza internazionale del fidanzamento ufficiale tra Brad Pitt e Angelina Jolie impone, sul piano del diritto, di far luce sull’istituto della promessa di matrimonio, cioè quella dichiarazione bilaterale con cui due persone si promettono reciprocamente di contrarre matrimonio (TATARANO.
Il codice civile, che se ne occupa agli artt. 79 ss., non offre una definizione dell’istituto, ma ne regola solo gli effetti. Di conseguenza, l’individuazione della natura giuridica della promessa impone di prendere le mosse proprio dalle conseguenze giuridiche di detto accordo.
La lingua inglese qualifica come “engaged” – impegnate - le persone che si siano scambiate tale promessa. Malgrado l’assonanza con il meno romantico “encaged” – incatenato - , l’impegno derivante dalla promessa di matrimonio non è, per lo meno nel nostro ordinamento, vincolante.
L’art. 79 c.c. prevede infatti che il promittente non è obbligato a contrarre matrimonio né ed eseguire ciò che si fosse convenuto in caso di mancato adempimento.
Uniche conseguenze – a prescindere da quelle personali – sono:
- la possibilità di chiedere la restituzione dei doni fatti a causa della promessa (purchè non oltre un anno dal rifiuto di sposarsi o dalla morte di uno dei promittenti);
- e, nel caso di promessa formalmente contratta per iscritto, l’obbligo di risarcire il danno per le spese fatte a causa della promessa in capo a colui che, senza giustificato motivo, abbia ricusato l’esecuzione dell’impegno assunto.
In proposito, una recente ordinanza della Corte di Cassazione del gennaio 2012, nel solco di un consolidato orientamento giurisprudenziale, ha stabilito che sebbene “il recesso senza giustificato motivo configura pur sempre il venir meno alla parola data ed all’affidamento creato nel promissario, quindi la violazione di regole di correttezza e di autoresponsabilità, che non si possono considerate lecite o giuridicamente irrilevanti”, l’obiettivo del legislatore è quello di “salvaguardare fino all’ultimo la piena ed assoluta libertà di ognuno di contrarre o non contrarre le nozze”. Di conseguenza “l’illecito consistente nel recesso senza giustificato motivo non è assoggettato ai principi generali in tema di responsabilità civile, contrattuale od extracontrattuale, né alla piena responsabilità risarcitoria che da tali principi consegue, poiché un tale regime potrebbe tradursi in una forma di indiretta sul promettente nel senso dell’accettazione di un legame non voluto”.
La restituzione dei doni, secondo l’autorevole Gazzoni, riguarda non già le liberalità d’uso, ma vere e proprie donazioni fatte a causa della promessa, che si distinguono dalle donazioni obnuziali in quanto non condizionate alla celebrazione del matrimonio. La donazione del diamante produce, dunque, immediatamente effetto in capo alla donataria Angelina, ma può essere revocata ove questa rifiuti di contrarre il matrimonio e purchè Brad ne faccia domanda entro un anno dal rifiuto.
Venendo al punto, alla luce degli effetti del mancato rispetto della promessa, si deve escludere che essa abbia natura contrattuale o negoziale, dal momento che essa non determina né la nascita di un rapporto giuridico patrimoniale né di qualsivoglia rapporto giuridico.
In dottrina sembra, dunque, prevalere la qualificazione dell’istituto in termini di atto giuridico in senso stretto (SANTORO PASSARELLI). L’esclusione del carattere negoziale impedisce, altresì, di qualificare la responsabilità come contrattuale: si tratterebbe, piuttosto, di un’obbligazione ex lege a carico del recedente, senza alcun onere risarcitorio.

15 aprile 2012

Contro i notai

Mio padre mi ha sempre suggerito di leggere ciò che è contrario alle mie idee. Oggi ci provo con questo libello,di cui si sente parlare tra gli aspiranti.

Contro i notai. Tutti i misteriosi privilegi della casta piùinviolabile e ricca d'Italia.
Marco Morello e Carlo Tecce per Ponte alle Grazie

11 aprile 2012

"ATTUALITÀ IN MATERIA DI OPERAZIONI STRAORDINARIE NELLE SOCIETÀ DI CAPITALI" (Bari, 13 e 27 aprile 2012)


SCUOLA PUGLIESE DI NOTARIATO "VINCENZO STIFANO" GIORNATE DI STUDIO "ATTUALITÀ IN MATERIA DI OPERAZIONI STRAORDINARIE NELLE SOCIETÀ DI CAPITALI" (Bari, 13 e 27 aprile 2012)
 

La Scuola Pugliese di Notariato "Vincenzo Stifano" ha organizzato due giornate di studio per il 13 e 27 aprile sul tema "Attualità in materia di operazioni straordinarie nelle società di capitali".
Gli eventi si terranno a Bari, presso la sede della Scuola in via Calefati 89.
- 13 aprile “L’aumento di capitale” e “La riduzione di capitale”.
- 27 aprile “La fusione” e “la scissione”
Per visualizzare il programma completo e le modalità di partecipazione, consultare il sito della Scuola Pugliese diNotariato "Vincenzo Stifano".