22 novembre 2011

Circolare Agenzia del Territorio 7/2011 in materia di conformità catastale

Con la circolare 18 novembre 2011, n. 7/2011, l’Agenzia del Territorio precisa che la dichiarazione di conformità oggettiva dei dati e delle planimetrie catastali con lo stato di fatto (art. 29, comma 1-bis, prima parte, legge 27 febbraio 1985, n. 52) non possa essere resa allorchè l'atto di trasferimento riguardi immobili iscritti al catasto sulla base di una rendita presunta, in attesa di una definitiva regolarizzazione catastale.
Per queste unità, infatti, "non si procede all'aggiornamento cartografico e non sono redatti i relativi elaborati grafici, venendo così a mancare l'elemento principale di raffronto, cioè la planimetria depositata in catasto".

Documenti:

Circolare Agenzia del Territorio n. 7/2011

Allegato 1

Allegato 2

18 novembre 2011

Osservatorio di Diritto Amministrativo

Come avrete capito, L'Officina del Diritto non ama il diritto amministrativo.
Per questo vi consiglio il blog del mio amico e collega Nicola Dell'Olio, avvocato amministrativista presso lo studio Abbatescianni di Roma.

Lui, il diritto amministrativo, lo sa.

http://osservatoriodidirittoamministrativo.wordpress.com

Vendita del possesso e vendita per possesso

E' POSSIBILE TRASFERIRE IL POSSESSO A PRESCINDERE DAL DIRITTO CUI AFFERISCE?
In proposito, si registrano due tesi:
a. tesi positiva: è ammissibile la vendita del possesso in quanto esso configura un vero e proprio diritto. In ambito notarile, i fautori di questa tesi, pur negando la natura di diritto della situazione possessoria, ne hanno ammesso la trasferibilità mediante un contratto atipico, ammissibile alla luce dell’art. 1322 c.c..
b. tesi negativa prevalente: prevale in dottrina e in giurisprudenza la tesi che nega la trasferibilità del possesso in via autonoma rispetto al diritto cui esso è collegato, in considerazione del fatto che esso altro non è che una situazione giuridica e non già un diritto.
In proposito, la Cass. 9884/1996 ha statuito che “Oggetto di un contratto di compravendita può essere solo il trasferimento della proprietà di una cosa o di un altro diritto; con la conseguenza che detto contratto non può avere ad oggetto il trasferimento del possesso di un immobile in sè e per sè (non collegato, cioè, alla cessazione della proprietà dello stesso) e da esso, ove comunque posto in essere dalle parti, non possono derivare gli effetti dell'accessione del possesso di cui all'art. 1146, comma 2, c.c., in quanto il possesso "unibile" ai sensi di detta norma è esclusivamente quello del precedente titolare del diritto trasferito.”
Secondo Cass. 8528/1996, “Il contratto preliminare con cui le parti si siano obbligate, rispettivamente, ad alienare e ad acquistare la sola situazione possessoria relativa ad un bene immobile è nullo, ai sensi degli art. 1418 e 1325 c.c., per l'impossibilità dell'oggetto, poiché il possesso, in quanto costituente un'attività (1140), necessariamente accompagnata dall'animus possidendi, non è negozialmente trasferibile, salva l'eccezione rappresentata dalla prevista continuazione, per effetto di una fictio legis, del possesso nell'erede (art. 1146, comma 1).”

La questione è stata molto discussa in tema di preliminare con effetti anticipati, nel quale il promittente alienante consegna il bene al promissario acquirente prima che si perfezioni il contratto definitivo (con il quale si ha il trasferimento della proprietà).
In questa ipotesi, ci si chiede quale sia la situazione giuridica in capo al promissario acquirente: cioè se egli sia possessore o detentore.
a. Secondo una parte della dottrina (PROTO), il preliminare con effetti anticipati sarebbe un contratto definitivo con efficacia parzialmente differita e, di conseguenza, un’ipotesi tipica di trasferimento del possesso.
b. La tesi prevalente ritiene che il promissario acquirente sia un detentore, perchè la proprietà "passerà" solo con il definitivo e il possesso non può circolare a prescindere da essa, come sopra si è detto.
La Cass. SS.UU. 7930/2008 ha stabilito che “Nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un'anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario acquirente si fonda sull'esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori. Pertanto la relazione con la cosa, da parte del promissario acquirente, è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso utile "ad usucapionem", salvo la dimostrazione di un'intervenuta "interversio possessionis”.

LA VENDITA PER POSSESSO
Per quanto connessa - per certi versi - alla vendita del possesso, la vendita del possesso è una fattispecie completamente diversa che si configura allorchè si proceda alla vendita di un bene oggetto di usucapione non accertata giudizialmente.
In proposito, si registra una controversia dottrinale, alimentata da un susseguirsi di pronunce di merito e di legittimità, che verte essenzialmente attorno a queste ricostruzioni:
a. secondo una prima tesi, il trasferimento in questione non è ammissibile dal momento che, in assenza di una pronuncia giudiziale, gli effetti del possesso protratto nel tempo non danno ancora luogo  ad un diritto e, come sopra visto, il possesso non è trasferibile autonomamente;
b. secondo la tesi che prevale, il trasferimento è valido dal momento che la vendita del possesso è cosa diversa rispetto al trasferimento di immobile usucapito in mancanza di una sentenza.
Infatti, a voler ammettere la prima tesi, si giungerebbe a sottoporre l’acquisto per usucapione ad una condizione (la sentenza) che la legge non menziona.
L’acquisto per usucapione, invece, è un acquisto a titolo originario che si realizza in capo al possessore ipso iure (BIANCA), pertanto egli è proprietario anche in mancanza della sentenza, che avrà mero valore dichiarativo e di accertamento, e può validamente disporre del bene così acquistato a domino.
In proposito, la Cass. 2485/2007 ha sancito la validità del contratto di compravendita di un immobile usucapito in mancanza della sentenza e la correttezza professionale del notaio rogante, ove emerga dall’atto che egli abbia reso edotte le parti della circostanza e degli eventuali rischi connessi .

Nella pratica, sebbene si tratti di atto certamente valido e non rischioso per il notaio alla luce dell’art. 28 L. Not., i professionisti sembrano preferire, ove ciò sia possibile, che l’atto sia stipulato dopo la sentenza, la quale fa stato tra le parti, i loro eredi ed aventi causa. Non determina la stessa sicurezza un negozio di accertamento, in quanto la sua trascrizione ha efficacia di semplice pubblicità-notizia. In ogni caso, si rischia – seppur validamente – di rendere insicura la circolazione del bene.

Per quanto concerne i riflessi di quanto detto sull’attività notarile, alla luce delle recenti normative in tema di allineamento catastale, PETRELLI così si esprime:
È possibile che un titolo legale manchi, per diverse ragioni. La più frequente è quella dell’usucapione, la quale, notoriamente, opera di diritto, a prescindere dall’eventuale declaratoria con sentenza, che ha comunque natura di sentenza dichiarativa. D’altra parte, l’usucapione dà luogo ad un acquisto a titolo originario, che prevale pacificamente su eventuali concorrenti acquisti a titolo derivativo dall’originario titolare del diritto, e ciò a prescindere dalla trascrizione (essendo quella prescritta dall’art. 2651 una trascrizione con effetto di mera pubblicità notizia). La Relazione al codice civile ha chiarito in modo adeguato come non si sia voluto imporre all’usucapiente l’onere del previo accertamento giudiziale del proprio diritto, in considerazione del ruolo sistemico che l’usucapione svolge nel vigente ordinamento italiano, consentendo di rimediare ai problemi a cui dà luogo l’imperfezione del sistema pubblicitario. Tutto ciò, in definitiva, depone per l’inapplicabilità del secondo periodo del comma 1-bis ai casi in cui la conformità ivi contemplata non sussista per il fatto che la provenienza è rappresentata da una usucapione non dichiarata con sentenza (fattispecie, questa, che è comunque da ritenersi eccezionale e marginale, e che è dovere del notaio sconsigliare al di fuori di casi del tutto particolari). In questi casi è necessario che dall’atto risulti la mancanza del “titolo legale”, la quale giustifica l’inapplicabilità della disciplina in commento. In questi ultimi casi, è evidentemente impossibile "preallineare", se non esiste alcun titolo legale da trascrivere e volturare, né può ritenersi possibile che una norma avente uno scopo fiscale possa limitare l'autonomia privata, impedendo la stipula di tali atti. Deve, pertanto, ritenersi che in questi casi l'atto possa essere stipulato, dando semplicemente conto nel medesimo del disallineamento dipendente dall'assenza di titoli legali. L’obiettivo limitato della norma in commento (quello fiscale, come più volte ripetuto) non è certamente sufficiente a stravolgere l’intero sistema civilistico degli acquisti a non domino, e va recisamente escluso che questo possa essere il significato della novella.”

Anche la circolare del Consiglio Nazionale del Notariato del 28 giugno 2010 qualifica la fattispecie come ipotesi fisiologica di non allineamento:
Vi sono, tuttavia, delle fattispecie in cui v’è una “non conformità” “fisiologica” tra i due registri: b) In altri casi, il mancato aggiornamento delle banche dati può derivare da ragioni di carattere sistematico come avviene per le ipotesi di acquisti per i quali è irrilevante la pubblicità immobiliare e che prescindono dalla precedente titolarità (es. acquisto per usucapione non accertato giudizialmente, fattispecie della quale molto si discute; o, ancora, il caso del titolo di provenienza del disponente irreperibile o di ardua reperibilità perché risalente nel tempo). Poiché per tali vicende, caratterizzate dal fatto che la titolarità del diritto e la legittimazione a disporre si collegano ad un acquisto a titolo originario o, comunque, ad un titolo di provenienza irreperibile o di difficile reperibilità, la pubblicità immobiliare – intesa come meccanismo destinato a risolvere i conflitti tra più aventi causa da un medesimo autore - non giocherà alcun ruolo e quindi la finalità dell’aggiornamento soggettivo non potrà essere realizzata nei termini previsti dalla norma rispetto al disponente. Con riferimento a queste ipotesi di non conformità tra i due registri, il notaio non può evidentemente allineare l’intestazione catastale a quella risultante nei registri immobiliari, ma è opportuno che faccia risultare dall’atto le ragioni del mancato allineamento. Qualora peraltro la fattispecie acquisitiva non sia suscettibile di trascrizione ma solo di volturazione catastale, e quest’ultima risulti mancante, il notaio “prima della stipula dell’atto” dovrà egli stesso provvedervi sulla base del titolo di provenienza rinvenuto.

17 novembre 2011

Comunione ordinaria o comunione legale?

Dopo mesi trascorsi a digerire la differenza tra comunione ordinaria e comunione legale, mi imbatto nella massima a Cassazione, sez. I, 23 luglio 2010, n. 17348 su Notariato 2011, I, pagg. 9-10:
"Anche se gli atti di disposizione di titoli di credito che ricadono nella comunione legale tra coniugi risultano, ai sensi dell'art. 184 c.c., comma 3, validi ed efficaci, quantunque effettuati da uno soltanto dei coniugi, tuttavia, la norma non apporta deroghe alla disciplina generale della comproprietà che è destinata a disciplinare la fattispecie nel caso di acquisto comune, vigendo per tale ipotesi la regola generale in tema di comunione, secondo la quale ciascuno può disporre del bene comune non più che per la sua parte, ancorchè indivisa e l'altra, secondo la quale nessuno può disporre di diritti altrui se non in forza di un titolo abilitativo proveniente dal titolare."

Ora, partendo dal presupposto della mia ignoranza giuridica, tra le poche regole in tema di comunione legale che davo per scontate ed incontrovertibili c'era quella sintetizzata in un'altra massima (Cass. 14093/2010): "La comunione legale dei beni tra i coniugi, a differenza di quella ordinaria, è una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente per oggetto i beni di essa e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei. Nei rapporti con i terzi ciascun coniuge, mentre non ha diritto di disporre della propria quota, può tuttavia disporre dell'intero bene comune, ponendosi il consenso dell'altro coniuge (richiesto dal comma 2 dell'art. 180 c.c. per gli atti di straordinaria amministrazione) come un negozio unilaterale autorizzativo che rimuove un limite all'esercizio del potere dispositivo sul bene; ...."

Presa dall'ansia, suggerisco a me stessa di leggere la motivazione per intero, ma JurisData misteriosamente non ha indicizzato la sentenza.

Io ci penso un altro po', prima di inveire - come al solito - contro il regime patrimoniale legale della famiglia.

Magari mi arriva una spiegazione illuminante da qualche lettore compassionevole.

7 novembre 2011

Gli illeciti amministrativi e penali in materia tributaria

L'avvocato Davide Galasso, collega e compagno di università, ha di recente pubblicato con Giappichelli questo interessante saggio sugli illeciti amministrativi e penali in materia tributaria.

Di seguito una breve introduzione all'opera.  Sulla preparazione dell'autore non abbiate dubbi!

"L’idea ispiratrice della presente opera è stata fondamentalmente quella di offrire – in un unico volume – un quadro del pensiero giuridico sistematico elaborato tanto attorno al d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (relativo ai reati tributari) quanto attorno alla materia degli illeciti amministrativi tributari. A tal fine, è stata accordata preminenza all’analisi dei profili generali degli istituti ed alle opinioni dottrinali rispetto al materiale casistico e giurisprudenziale, tanto di merito quanto di legittimità, pur largamente presente. Si è quindi cercato di soddisfare l’esigenza di dare un quadro organico dell’esperienza e del pensiero giurisprudenziale, ponendo in evidenza i “precedenti” più rilevanti, e cercando di fornire una rappresentazione essenziale, ma allo stesso tempo completa, del c.d. jus quo utimur. A riprova della crescente importanza della casistica giudiziale, vi sono le sempre più ampie analisi e riflessioni della dottrina, anch’esse riportate nel testo. Venendo ai contenuti ed alle modalità di realizzazione del volume, quest’ultimo è diviso in due parti. La prima tratta della disciplina dei reati tributari, profondamente riformata a seguito dell’entrata in vigore del citato d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74; la seconda è incentrata sull’analisi delle tematiche di maggior interesse ed attualità afferenti il sistema delle sanzioni amministrative tributarie, anch’esso radicalmente mutato a seguito dell’attuazione dei principi e dei criteri direttivi di cui alla legge delega 23 dicembre 1996, n. 662. Più specificamente, con riguardo alla prima parte, tutto il materiale degli orientamenti riportati è distribuito articolo per articolo, e poi suddiviso, all’interno di ciascuna ripartizione così ottenuta, in paragrafi, che si susseguono secondo un ordine logico fondato sulla struttura del singolo reato in commento. Analogo ordine si è cercato di osservare, nell’ambito di ogni paragrafo, con riguardo alla sequenza delle massime, degli orientamenti dottrinali e della prassi dell’Amministrazione finanziaria, cosicché il loro dettato, letto di seguito, si atteggia spesso come un’esposizione continua, organica e sistematica. Naturalmente, si è operato in modo da tener conto, in ogni caso, degli orientamenti confliggenti con l’indirizzo dominante o con quello più recente. A tal proposito, si è espressamente scelto di far riferimento pure alla giurisprudenza di merito, ogni qualvolta la medesima appariva espressione di orientamenti particolarmente meritevoli di attenzione, a prescindere dall’eco che essi avessero avuto o meno in sede di legittimità. Con riferimento alla seconda parte, questa è caratterizzata da una stretta complementarietà e contemporaneamente da completa, reciproca autonomia con la parte relativa alla materia penale tributaria. Si è così scelto di dare un inquadramento sistematico della disciplina, seguito dalla trattazione del complesso delle norme concernenti le sanzioni amministrative tributarie, tanto in relazione alle regole generali (d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472) quanto con riguardo alle singole ipotesi di violazioni in tema di imposte sui redditi e/o sul valore aggiunto. Chiude l’analisi testé esposta la disciplina delle misure cautelari amministrative tributarie. Completano altresì il volume, sul piano eminentemente pratico, un formulario (sia penale che amministrativo tributario), una serie di schede riassuntive (le quali tratteggiano le principali caratteristiche dei singoli istituti), la bibliografia, l’indice analitico e quello della giurisprudenza. Non mi resta che esprimere l’auspicio che quest’opera possa porsi quale valido strumento – di studio e di lavoro – per tutti gli operatori del diritto penale ed amministrativo tributario, fornendo al lettore, che ne sia a diversi fini interessato, un quadro sufficientemente chiaro, completo ed aggiornato di questa complessa – ed al tempo stesso affascinante – branca dell’ordinamento giuridico".  

http://www.giappichelli.it/home/978-88-7524-197-1,7524197.asp1