Cass. Civ., sez. II, 24 febbraio 2009, n. 4435
Il quesito
L'attribuzione testamentaria dell'usufrutto universale individua un'istituzione di erede oppure un'attribuzione a titolo di legato?
Il caso in breve
Tizio redige un testamento nel quale lascia alla moglie Tizia e ai nipoti rispettivamente l'usufrutto e la nuda proprietà del proprio patrimonio.
Alla sua morte, Tizia, ritenendo che il testamento del marito non contenesse alcuna valida istituzione di erede e che le disposizioni in esso contenute fossero lesive della quota di legittima, chiede al Tribunale di accertare la propria qualità di erede, nonché la rinunzia al legato di usufrutto, con conseguente attribuzione della quota di legittima. Il Tribunale accoglie la domanda e accerta la qualità di erede in capo alla sola Tizia.
I nipoti propongono appello avverso detta sentenza, ottenendo la riforma dell'impugnata decisione e l'accertamento della propria qualità di eredi unitamente a Tizia, rispettivamente nell'usufrutto e nella nuda proprietà.
Tizia propone ricorso in Cassazione eccependo, inter alia, la violazione dell'art. 588.
Le posizioni dottrinali
Il carattere universale o particolare dell'attribuzione dell'usufrutto generale sui beni del de cuius è stata oggetto di accesi dibattiti in dottrina sin dall'epoca anteriore alla riforma del diritto di famiglia, allorchè al coniuge superstite spettava il diritto di usufrutto sui 2/3 del patrimonio del defunto.
A seguito della riforma, sebbene sia pacifica l'attribuzione della qualità di erede al coniuge superstite alla luce dell'art. 536 c.c., la questione sopravvive nella circostanza in cui un testamento contenga una disposizione attributiva dell'usufrutto sull'intera eredità o su una quota di essa.
La necessità di dare una precisa connotazione a siffatta clausola testamentaria non rileva solo ai fini della differente disciplina che presiede all'istituzione di erede rispetto al legato. L'aspetto più problematico riguarda, infatti, il rischio che una disposizione mediante la quale si attribuisca l'usufrutto generale – da un lato – e la nuda proprietà – dall'altro – possa configurarsi quale strumento per aggirare il divieto di sostituzione fedecommissaria.
La sentenza in oggetto si inserisce, dunque, in una storica contrapposizione che vede, da una parte, la tesi di coloro che configurano l'attribuzione dell'usufrutto universale come un legato (NICOLO', STOLFI, GANGI e, nella giurisprudenza di merito, App. Cagliari, 14 ottobre 2003; Trib. Napoli, 2005; Trib. Bologna, 6 ottobre 2008) e, dall'altra, la posizione di quanti ne affermano la natura universale (CICU, FERRI e, tra le pronunce di legittimità, Cass. Civ., 12 settembre 2002, n. 13310).
La tesi della natura particolare dell'attribuzione si fonda sui seguenti argomenti:
1)l'usufruttuario dell'eredità, a differenza dell'erede, non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari ultra vires,ma è obbligato a pagare per intero o pro quota le annualità e gli interessi dei debiti o dei legati da cui l'eredità stessa risulti gravata (art. 1010 c.c.);
2)il diritto dell'usufruttuario rappresenta un quid novi rispetto alla posizione giuridica del de cuius, nella quale, al contrario, subentra l'erede;
3)il carattere di temporaneità dell'usufrutto si pone in contrasto con il carattere di perpetuità proprio della qualità di erede (principio semel here semper heres);
4)l'usufruttuario, al contrario dell'erede, non succede automaticamente nel possesso dei beni ereditari, ma è tenuto a farne richiesta al nudo proprietario (art. 1002 c.c.).
Malgrado ciò, autorevole dottrina (FORCHIELLI – ANGELONI) sostiene che l'usufruttuario di eredità abbia comunque titolo per partecipare alla divisione ereditaria.
La tesi della natura universale della disposizione confuta gli argomenti sopra esposti sostenendone, ex art. 588 c.c., l'idoneità a comprendere l'universalità o una quota dei beni del testatore.
Se, dunque, il testatore ha inteso assegnare l'usufrutto universale quale quota del patrimonio, si deve ravvisare in questa disposizione la medesima potenzialità espansiva del titolo ereditario a ricomprendere l'universum ius, qualora, ad esempio, il testatore abbia ignorato alcuni beni della massa.
La posizione della Suprema Corte
Nella sentenza in oggetto, la Corte di Cassazione muove dal medesimo presupposto su cui si fonda la tesi da ultimo citata, utilizzando l'argomento dell'art. 588 c.c. non solo per attribuire carattere universale all'attribuzione di usufrutto universale, ma anche per fugare i dubbi relativi alla possibile violazione del divieto di sostituzione fedecommissaria.
A tal proposito, la Corte sottolinea la necessità di indagare “effettiva volontà del "de cuius", attraverso l'analisi delle finalità che il testatore intendeva perseguire, oltre che attraverso il contenuto testuale della scheda testamentaria”.
Se, conformemente all'art. 588, II co., c.c., risulta che il testatore abbia inteso attribuire il diritto quale quota del proprio patrimonio, si dovrà riconoscere all'usufruttuario la qualifica di erede e, di conseguenza, escludere la sostituzione fedecommissaria allorquando l'attribuzione contestuale di usufrutto e nuda proprietà sia a) diretta e simultanea e non in ordine successivo; b) i chiamati non succedano l'uno all'altro, ma direttamente al testatore; c) la consolidazione tra usufrutto e nuda proprietà costituisca un effetto non della successione, ma della vis espansiva della proprietà.
UPDATE 15 dicembre 2010: la Corte di Cassazione, con la sentenza 1557/2010, ha nuovamente modificato il proprio orientamento in merito sostenendo che "Ove il testatore attribuisca il solo diritto di usufrutto, il beneficiario non succede in universum iuss del defunto e, pertanto, non acquista la qualità di erede; nei suoi confronti, pertanto, non sussiste litisconsorzio necessario in sede di giudizio di divisione tra coeredi."