17 agosto 2016

Disposizioni Testamentarie relative alla Sepoltura e i Diritti di Sepolcro

Ingresso del Cimitero monumentale di Barletta
All'ombra de' cipressi e dentro l'urne
confortate di pianto è forse il sonno
della morte men duro?

U. Foscolo, I Sepolcri

La sorte delle spoglie mortali della persona rappresenta pacificamente un interesse meritevole di tutela, sia sotto un profilo penalistico (cfr. artt. 407 ss. c.p.) sia in ambito civilistico, là dove è riconosciuto il diritto personale di disporre, entro certi limiti, del proprio cadavere (per esempio, destinandolo alla scienza o prestando il proprio consenso alla donazione degli organi) nonchè di manifestare la propria volontà in relazione alle modalità della tumulazione. Si segnala, in proposito, che la legge 30 marzo 2001, n. 130 ha disciplinato la pratica funeraria della cremazione e della conservazione delle ceneri, consentendone altresì la dispersione secondo la volontà del defunto.
A queste disposizioni - aventi quale oggetto specifico la salma - si devono aggiungere quelle relative al luogo della sepoltura, le quali impongono di puntualizzare il complesso ed articolato istituto del diritto di sepolcro. Tale figura comprende una molteplicità di situazioni giuridiche (appare, dunque, più opportuno parlare di diritti di sepolcro, cfr. MUSOLINO, Il diritto di sepolcro: un diritto al plurale, in Riv. Not., 2001, pp. 469 ss.):
Una cappella funeraria 
1. DIRITTO SULL'EDIFICIO CAPPELLA FUNERARIA (diritto sul sepolcro): secondo la ricostruzione prevalente in dottrina e in giurisprudenza, si tratta di un diritto reale, assimilabile al diritto di superficie (cd. proprietà superficiaria cimiteriale), prescrittibile ed espropriabile, il quale può essere oggetto di trasferimento inter vivos e mortis causa (nei limiti delle previsioni della concessione amministrativa per l'edificazione su suolo demaniale, delle prescrizioni dei regolamenti di polizia mortuaria e dell'atto di fondazione).
2. DIRITTO AL SEPOLCRO IN SENSO PROPRIO distinto in:
a. Diritto primario di sepolcro (o diritto di tumulazione): distinto dal diritto reale sull'edificio funerario, individua il diritto di essere seppellito (ius sepulchri) o di seppellire altri (ius inferendi in sepulchrum) in un determinato sepolcro. Si discute circa la natura giuridica di tale diritto. Secondo la posizione prevalente, il diritto primario di sepolcro rappresenta un particolare diritto di carattere reale e patrimoniale, del quale il titolare può disporre per atto tra vivi o mortis causa. Una tesi minoritaria nega il carattere
Una scena del film "The premature burial" (1961)
di Roger Corman
reale di questo diritto, affermandone la natura di diritto di uso personale che si estingue nel momento in cui l'interesse ad esso sotteso (quello alla tumulazione) viene soddisfatto con l'inumazione della salma.

Il diritto primario di sepolcro si distingue, a sua volta, in diritto al sepolcro familiare e diritto al sepolcro ereditario. 
b. Diritto secondario di sepolcro: individua il diritto di accedere al sepolcro in occasione di ricorrenze e di opporsi ad atti che possano recare oltraggio ai resti in esso sepolti. Tale diritto, di natura personalissima e non trasmissibile, è un diritto personale di godimento che spetta a tutti coloro che abbiano un legame familiare e affettivo con il defunto e che può essere esercitato finchè perdura la sepoltura.
3. DIRITTO ALL'INTESTAZIONE DEL SEPOLCRO (ius nomini sepulchri): diritto del fondatore del sepolcro e dei successivi titolari di apporre il proprio nome sul sepolcro.
4. DIRITTO DI SCELTA DEL LUOGO DI SEPOLTURA: diritto personale di scegliere il luogo in cui dovranno essere riposte le proprie spoglie mortali. Esso spetta all'interessato  (e può essere esercitato mediante una disposizione testamentaria o un mandato post mortem) e, in mancanza, ai suoi più stretti congiunti.




Un profilo di particolare rilievo è rappresentato dalle sorti del diritto primario di sepolcro in seguito alla morte del fondatore (per i profili di carattere amministrativo, si rinvia qui). La questione deve essere risolta in relazione alla volontà espressa dal fondatore nell'atto di fondazione. Esso, infatti, può prevedere di destinare il sepolcro ai propri familiari o ai propri eredi. A tal proposito, dunque, si può distinguere tra sepolcro familiare e sepolcro ereditario (sul punto diffusamente Cass. Civ., sez. II, 8 maggio 2012, n. 7000.



Il sepolcro familiare o gentilizio si realizza nel caso in cui il fondatore abbia destinato il sepolcro a sè e alla propria famiglia. Il carattere familiare del sepolcro fa sì che, alla morte del fondatore, il diritto primario di sepolcro spetti, salvo rinuncia, ai suoi familiari iure proprio, anche se essi non abbiano acquistato la qualifica di erede. Tuttavia, a differenza del diritto spettante al fondatore, il diritto dei familiari non può essere oggetto di atti di disposizione e non è trasmissibile. In mancanza di precisazioni da parte del fondatore, una risalente consuetudine individua quali familiari aventi diritto al diritto di sepolcro il coniuge del fondatore, i suoi discendenti di sesso maschile e le rispettive mogli, le discendenti del fondatore rimaste nubili. Sono, pertanto, esclusi i coniugi delle discendenti e i fratelli del fondatore. La giurisprudenza, al contrario, considera familiari tutti coloro che siano legati da un vincolo di sangue con il fondatore (cfr. Cass. Civ., sez. II, 27 settembre 2012, n. 16430).
Si definisce, al contrario, sepolcro ereditario il sepolcro che il fondatore abbia destinato a sè e ai propri eredi. In questo caso, il diritto è suscettibile di atti di disposizione inter vivos e mortis causa, è oggetto di trasmissione ed è disciplinato dalle regole della successione. Si deve precisare, tuttavia, che il trasferimento del diritto è subordinato al rispetto delle prescrizioni dei regolamenti di polizia mortuaria e alla condizione sospensiva legale dell'autorizzazione alla voltura da parte dell'amministrazione competente (Cass. Civ., sez. II, 29 maggio 1990, n. 5015)
Nel caso in cui il fondatore non abbia espresso alcuna volontà circa le sorti del sepolcro, si presume che esso abbia natura familiare. Tuttavia, il sepolcro familiare si converte in sepolcro ereditario allorchè siano deceduti tutti i familiari del fondatore, con la conseguenza che esso si trasmetterà agli eredi dell'ultimo familiare. 


8 agosto 2016

L'Adeguamento degli Statuti Societari alla Riforma del 2003

Per effetto della riforma del diritto societario (d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6), la disciplina delle S.p.A. (e, in generale, delle società di capitali) è stata oggetto di una revisione organica nell'ottica di semplificazione e di ampliamento dell'autonomia privata. Di conseguenza, le società costituite anteriormente all'entrata in vigore della nuova disciplina (1 gennaio 2004) hanno dovuto adeguare i propri statuti alle disposizioni inderogabili da essa introdotte (cfr. art. 223-bis disp. att. cod. civ. e Milano n. 2):
  • Termine per l'adeguamento: 30 settembre 2004;
  • Modalità: delibera dell'assemblea straordinaria a maggioranza semplice (ma v. Massima n. 89 di Milano).
  1. [Temporanea efficacia delle clausole non adeguate] Le clausole statutarie non adeguate mantengono la loro efficacia fino al 30 settembre 2004, anche se non conformi alle disposizioni inderogabili della riforma;
  2. [Divieto di iscrizione] Dal 1 gennaio 2004 non è possibile iscrivere nel registro delle imprese quelle società che,  pur essendo state costituite anteriormente a questa data, presentino atti costitutivi o statuti non conformi al decreto;
  3. [Applicazione anteriore all'entrata in vigore] Le società costituite anteriormente al 1 gennaio 2004 possono già inserire nei propri statuti clausole conformi al decreto, le quali produrranno effetti dal momento, successivo al 1 gennaio 2004, dell'iscrizione nel registro delle imprese.
Il Consiglio Notarile di Milano (Massima 1 - Ambito di applicazione del divieto previsto dall'art. 223 bis) ha precisato che il divieto di iscrizione sub n. 2 non si applica
  • agli atti costitutivi ricevuti e depositati nel registro delle imprese prima del 1 gennaio 2004, anche se non ancora iscritti;
  • alle delibere di modifica degli statuti adottate prima del 1 gennaio 2004, anche se il deposito è stato effettuato successivamente;
  • agli atti di fusione e di scissione, ancorchè stipulati dopo il 31 dicembre 2003, i quali diano esecuzione alle deliberazioni di fusione/scissione adottate prima dell'entrata in vigore della riforma.
Per quanto riguarda la disciplina applicabile alle società costituite anteriormente alla riforma, la Massima n. 5 di Milano prevede che esse siano regolate dalla nuova disciplina, dal momento in cui lo statuto è stato adeguato e, in ogni caso, dal 1 ottobre 2004.
Nel periodo anteriore all'adeguamento e, in mancanza, fino al 30 settembre 2004, dette società sono regolate dai vigenti patti sociali, anche se contrastanti con la nuova disciplina. In mancanza di una disciplina statutaria o in caso di generico rinvio alla legge, troverà applicazione:
  • la vecchia disciplina, se compatibile con le nuove regole;
  • la nuova normativa nei restanti casi.
Con riferimento al rinvio ad una disposizione successivamente modificata, la Massima n. 91 di Milano precisa che le clausole statutarie introdotte prima della riforma le quali facciano rinvio ad una specifica norma oggetto di modifica debbano essere interpretate come rinvio alla disciplina pro tempore vigente, a meno che non sia possibile evincere la volontà di rinviare al testo vigente al momento dell'introduzione della clausola stessa.

Il profilo di maggiore interesse in materia di adeguamento degli statuti alla riforma del 2003 riguarda le ipotesi in cui la società non abbia provveduto ad uniformare il proprio statuto alle disposizione inderogabili di nuova introduzione nei termini previsti dalla legge. In proposito, la relazione alla riforma ha precisato che il mancato adeguamento alle nuove disposizioni di carattere inderogabile impedisce alla società di operare ulteriormente, determinando, pertanto, una causa di scioglimento ope legis.
Questa soluzione, tuttavia, non appare convincente per una serie di ragioni:
  • le nuove disposizioni codicistiche, malgrado le indicazioni contenute nella relazione, non fanno alcun riferimento allo scioglimento;
  • le cause di scioglimento hanno carattere eccezionale e tassativo;
  • la soluzione dello scioglimento contrasta con il principio di conservazione del contratto e  con l'esigenza di preservare l'operatività di un soggetto economico già esistente nel mercato.
Alla luce di questi rilievi, 
  • parte della dottrina (N. ABRIANI, Gli adeguamenti obbligatori degli statuti delle società di capitali alla riforma del diritto societario, in Le Società, 10/2003, p. 1301; C. CERA, Le modifiche degli statuti di S.p.A. alla luce della disciplina transitoria della riforma del diritto societario, in Le Società, 9/2003, p. 1192; U. MORERA, Gli adeguamenti dell’atto costitutivo e dello statuto alle nuove disposizioni in materia di S.p.A. (art. 223 bis, disp. att. c.c.), in Riv. Notariato, 2003, p. 835) ha ritenuto che il mancato adeguamento determini la sopravvenuta inefficacia delle clausole interessate
  • Secondo altra ricostruzione (L. ENRIQUES – G. SCASSELLATI SFORZOLINI, Adeguamenti statutari: scelte di fondo e nuove opprortunità nella riforma societaria, in Notariato, 2004, pp. 69 s.), il mancato adeguamento è causa di sopravvenuta nullità della clausola per contrasto con una norma inderogabile
In ogni caso, nessuna delle due soluzioni proposte è idonea ad integrare la causa di scioglimento rappresentata dall'impossibilità di funzionamento dell'organo amministrativo o dall'impossibilità di conseguire l'oggetto sociale, in quanto si ritiene operante il rimedio della sostituzione di diritto (art. 1419 cod. civ., ultimo comma) con il regime legale a far data dal 1 ottobre 2004 (come già detto, infatti, sino a tale data le vecchie clausole conservano efficacia anche se non sono conformi alle disposizioni inderogabili - operatività sospesa delle nuove norme inderogabili). A ciò si deve aggiungere la responsabilità degli amministratori e dei sindaci per l'omissione derivante dal mancato adeguamento delle clausole.

A tal proposito, il CNN (Gli adeguamenti a norme inderogabili ex art. 223-bis disp. att. cod. civ. - Studio CNN 5277/I) ha precisato che lo scioglimento non si determina neanche nel caso in cui la società non abbia provveduto ad adeguare l'importo del capitale sociale al minimo imposto dall'art. 2327 c.c., in quanto lo stesso art. 223-ter disp. att. ne prevede la salvezza (“le società per azioni costituite prima del 1° gennaio 2004 con un capitale sociale inferiore a centoventimila euro possono conservare la forma della società per azioni per il tempo, stabilito antecedentemente alla data del 1° gennaio 2004, della loro durata”). Naturalmente, là dove i soci decidessero di prorogare la durata della società, essi dovrebbero contestualmente adeguare il valore del capitale per non incorrere nell'ipotesi di scioglimento per riduzione del capitale al di sotto del minimo legale. Sul punto v. Massima n. 6 di Milano.

Per approfondire:

1 luglio 2016

La prelazione nell'impresa familiare

NOTAZIONI GENERALI

Si definisce impresa familiare (art. 230-bis c.c.) l'impresa nella quale collaborano in maniera continuativa il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado. Ai fini della collaborazione rileva tanto l'attività prestata nell'impresa quanto il lavoro nella famiglia. 
L'istituto, nato per tutelare il familiare che presti la propria attività nell'impresa (salvo che ciò non dia luogo ad un diverso rapporto, garantisce al collaboratore una serie di diritti di natura patrimoniale e amministrativa.

Diritti patrimoniali - in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato
  1. diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia;
  2. diritto agli utili dell'impresa familiare ed ai beni con essi acquistati;
  3. diritto agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento;
  4. diritto di prelazione sull'azienda in caso di divisione ereditaria o di trasferimento.
Diritti amministrativi:
  1. diritto di esprimere il proprio voto circa le decisioni relative all'impiego degli utili e degli incrementi, alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell'impresa.
Tali decisioni, infatti, devono essere adottate a maggioranza dai familiari che partecipano all'impresa.

Il diritto di partecipazione all'impresa famigliare è intrasferibile, a meno che il trasferimento non avvenga in favore di un familiare contemplato dalla norma con il consenso unanime dei partecipanti. Alla cessazione del lavoro o in caso di trasferimento dell'azienda, il diritto di partecipazione deve essere liquidato in denaro.

Sotto il profilo strutturale, l'impresa familiare è un'impresa individuale
  • il familiare imprenditore è l'unico titolare dell'impresa e dei beni aziendali;
  • il diritti patrimoniali dei partecipanti si configurano quali diritti di credito nei confronti dell'imprenditore;
  • la gestione ordinaria spetta esclusivamente all'imprenditore;
  • l'imprenditore agisce in nome proprio;
  • nel caso in cui l'impresa familiare eserciti un'attività commerciale, un eventuale fallimento coinvolgerà il solo imprenditore.


LA PRELAZIONE NELL'IMPRESA FAMILIARE

In generale:
L'art. 230-bis, co. 5, c.c. riconosce ai partecipanti all'impresa familiare il diritto di prelazione in caso di:
  • divisione ereditaria (artt. 713 ss. c.c.);
  • trasferimento dell'azienda.
Il diritto di prelazione consiste, in generale, "nel diritto di essere preferito ad altri, a parità di condizioni, nella conclusione di un determinato contratto" (M.C. Diener, Il contratto in generale, Milano, 2002, p. 162):
  • è una prelazione legale, in quanto prevista dalla legge;
  • è una prelazione propria, in quanto disposta a tutela dell'interesse privato del preferito alla conservazione dell'impresa all'interno della famiglia.

Disciplina:

Al fine di consentire agli aventi diritto l'esercizio della prelazione, il promittente è tenuto a dare comunicazione ai familiari dell'intento di concludere con altri un determinato contratto (cd. denuntiatio), assegnando loro un congruo spatium deliberandi per esercitare il diritto di prelazione (generalmente entro due mesi dall'ultima notificazione). Con riferimento all'accertamento di eventuali aventi diritto alla prelazione, il potenziale acquirente o il notaio chiamato a ricevere l'atto di trasferimento potranno effettuare questa verifica sulla base delle iscrizioni presso la Camera di Commercio o dell'esistenza di una gestione INPS quale collaboratore non dipendente.

Si discute circa le conseguenze di una violazione dell'obbligo di denuntiatio e della conclusione del contratto con un terzo in spregio del diritto di prelazione del familiare. La questione attiene, evidentemente, alla natura reale o obbligatoria della prelazione nell'impresa familiare. 
Nel primo caso, il familiare avrà un diritto potestativo ad esercitare il retratto e a subentrare nel contratto stesso [nel termine ordinario di prescrizione decennale (Cass. civ. 3465/2013)]. Nel secondo caso, invece, il familiare ha un mero diritto al risarcimento del danno nei confronti del promittente. La dottrina e la giurisprudenza che si sono occupate del tema hanno fondato il proprio convincimento sull'interpretazione del richiamo (nei limiti in cui è compatibile) all'art. 732 c.c. contenuto nel quinto comma dell'art. 230-bis c.c. (in proposito, v. diffusamente la motivazione di Cass. civ., sez. Lav., 19 novembre 2008, n. 27475).
  • A tal proposito, alcuni autori hanno ritenuto che detto richiamo riguardi esclusivamente la disciplina del diritto di prelazione, ma non il retratto. Come osservato da Cass., SS. UU., 14 giugno 2007, n. 13886, "la limitazione del potere dispositivo del proprietario trova giustificazione nella funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost.), sicché il sacrificio imposto in funzione dell'interesse superindividuale conferisce alla norma che lo prevede l'inevitabile carattere della eccezionalità, con la conseguenza della inapplicabilità della disciplina oltre i casi tipici regolati”. Ne deriva, pertanto, che il retratto può essere esercitato solo là dove previsto espressamente dalla norma.
  • Secondo altra impostazione, il richiamo all'art. 732 c.c. deve essere inteso nella sua interezza e, quindi, includendo il retratto. In questo modo, risulta rispettato il principio enunciato dalle Sezioni Unite sopra citate, in quanto l'integrale rinvio alla norma del 732 consente di ritenere che il diritto di retratto sia previsto espressamente dalla legge. In tal senso deporrebbe, altresì, la comune ratio degli istituti, volta a conservare in seno alla famiglia un determinato patrimonio. 

Ipotesi

Il profilo di maggiore interesse della prelazione nell'impresa familiare è rappresentato dalla individuazione delle ipotesi che ne consentono l'esercizio (sul punto, diffusamente, A. Areniello, Impresa familiare: la prelazione nella divisione ereditaria. L'esercizio della prelazione, in Riv. not., 2002, I, pt. 1, pp. 73-87) .

Con riferimento al caso della divisione ereditaria, la dottrina ha diversamente interpretato questa indicazione legislativa:
  • secondo GHIDINI, la norma si riferisce al trasferimento dell'azienda a scopo divisionale effettuato dai coeredi in favore di estranei;
  • secondo CORSI, il riferimento alla divisione rappresenta un criterio per la formazione delle quote: l'erede partecipante è preferito agli altri coeredi nell'assegnazione dell'azienda nella sua porzione.
Ben più complessa è l'ipotesi del trasferimento d'azienda:
  • senza dubbio, sono inclusi tutti i casi di trasferimento inter vivos a titolo oneroso;
  • si discute circa i trasferimento a titolo gratuito e le donazioni: secondo alcuni autori, tali ipotesi non determinano un diritto di prelazione, in quanto il corrispettivo è determinante al fine di rispettare il requisito della parità di condizioni; altra dottrina sostiene che il concetto di trasferimento riguardi ogni tipo di cessione.
  • per quanto attiene ai trasferimenti mortis causa, il Tribunale di Macerata, in una pronuncia del 2000, ha ritenuto che la prelazione sussista anche in tali casi.
Nell'ambito dei trasferimenti onerosi per atto tra vivi, si deve ritenere, in via generale, che la prelazione sussista in ogni caso in cui il mutamento dell'acquirente non pregiudichi l'interesse sotteso al trasferimento:
  • nella permuta, si esclude la prelazione quando il contratto ha ad oggetto un bene infungibile;
  • nella transazione è esclusa la prelazione;
  • in caso di vendita forzata e di divisione ordinaria, sussiste il diritto del familiare alla prelazione;
  • si discute in merito all'usufrutto e all'affitto di azienda, in quanto la norma fa riferimento al trasferimento dell'intera azienda e non già di diritti su di essa;
  • parimenti discussa è l'ipotesi del conferimento d'azienda, in quanto il corrispettivo della partecipazione in società può avere carattere infungibile per il trasferente.