29 gennaio 2010

Incontri foggiani di diritto commerciale: il punto sulla soppressione del libro soci

Per completare il discorso cominciato nel post di ieri, mi sembra interessante riprendere alcune considerazioni emerse durante il terzo incontro di diritto commerciale in tema di soppressione del libro soci nelle srl.
A fronte di una unanimità di vedute in merito alla superficialità della tecnica legislativa adoperata nella riforma, differenti sono i correttivi proposti.
L'auspicio è, naturalmente, quello di un rimaneggiamento legislativo delle criticità emerse o, per lo meno, di un intervento interpretativo che consenta di puntualizzare i punti oscuri della novella (primo tra tutti, il significato da attribuire al deposito nel registro delle imprese).
E' evidente che alla base dell'insuccesso della riforma vi sia un intoppo del meccanismo di comunicazione, che impedisce agli amministratori di avere contezza della composizione della compagine sociale e di verificare il rispetto delle regole di circolazione, aggravandone la responsabilità.
Tra le soluzioni proposte, appaiono particolarmente convincenti:
1. Introduzione, in capo al socio acquirente, di un obbligo di comunicazione dell'avvenuta cessione agli amministratori;
2. Attribuzione di un potere di controllo a monte in capo al notaio che procede al deposito;
3. Creazione di un elenco soci informatico accessibile tramite il registro delle imprese.
Tuttavia, si tratta di accorgimenti che impongono un ulteriore intervento del legislatore. Pertanto, al momento nessuna strada sembra essere concretamente percorribile.

28 gennaio 2010

La soppressione del libro soci: fu vera gloria?

1. Introduzione
Ad un anno dalla conversione del decreto legge 29 novembre 2008, n. 185 (Riduzione dei costi amministrativi a carico delle imprese) nella legge 28 gennaio 2009, n. 2, resto dell'opinione che l'abolizione del libro soci nelle società a responsabilità limitata sia stata una falsa semplificazione, malgrado le intenzioni del legislatore. E che il “taglio improvvido” di cui hanno parlato i notai Zabban e Notari (cfr. Sole24ore, 10 febbraio 2009, 25) rischi di diventare, specie dopo le innovazioni in tema di trasferimento delle partecipazioni sociali e la sentenza 14 settembre 2009 del Tribunale di Verona, un'avventata amputazione.
Malgrado i dati resi noti da Unioncamere, che parlano di un risparmio per le società pari a 200 milioni di euro annui per costi di gestione e tenuta del libro, i rischi giuridici della modifica ne ridimensionano notevolmente la portata. Per questo mi chiedo: fu vera gloria?
2. Il trasferimento delle partecipazioni sociali prima della modifica
Il meccanismo previgente prevedeva che il trasferimento della quota di partecipazione producesse effetti fra le parti in virtù del semplice consenso.
Per quanto riguarda gli effetti nei confronti della società, essi erano determinati dall'iscrizione nel libro soci.
In estrema sintesi, la vicenda traslativa può essere schematizzata come segue:
a) atto di trasferimento della partecipazione sociale;
b) deposito dell'atto nel registro delle imprese;
c) richiesta da parte dell'alienante o dell'acquirente di iscrizione nel libro soci dietro esibizione del titolo;
d) verifica delle condizioni per l'iscrizione (es. assenza di clausole di limitazione della circolazione) da parte degli amministratori;
e) iscrizione nel libri soci.
Dal momento dell'iscrizione nel libro soci, il socio era legittimato nei confronti della società ad esercitare i diritti sociali connessi alla titolarità della partecipazione.
3. Conseguenze della soppressione del libro soci
La novella legislativa ha modificato profondamente l'impianto sopra descritto. Infatti, oggi il nuovo socio è legittimato all'esercizio dei diritti sociali sin dal deposito dell'atto di trasferimento nel registro delle imprese ad opera del notaio o dell'intermediario abilitato.
Viene meno, dunque, la verifica preliminare effettuata dagli amministratori in ordine all'ottemperanza di eventuali limiti alla circolazione delle quote, con la grave conseguenza che il conservatore potrebbe rifiutare l'iscrizione nel registro imprese anche dopo che il socio, legittimato per effetto del mero deposito, abbia già esercitato i diritti sociali.
La mancata iscrizione, dunque, determinerebbe la caducazione retroattiva dell'acquisto della qualità di socio e l'invalidità delle delibere assunte con la partecipazione di costui, stante l'efficacia meramente dichiarativa e non sanante della pubblicità commerciale.
La legittimazione derivante dal deposito (a fronte del quale si ottiene solo un numero di protocollo e non i dati essenziali dei soci) impedisce agli amministratori di avere certezza dell'effettiva composizione della compagine sociale in sede assembleare, con evidente difficoltà in sede di convocazione della stessa e soprattutto in sede di verifica dell'assenza di eventuali limitazioni alla circolazione della quota.
4. La soluzione del Notariato, le massime milanesi e l'ostacolo del Tribunale di Verona
Il Consiglio Nazionale del Notariato, nello studio 71-2009/I, e la massima 115 del Consiglio Notarile di Milano hanno tentato, con il consueto approccio pratico, di superare l'impasse sostenendo che l'abolizione del libro non impedisce, tuttavia, di continuare a subordinare l'efficacia della cessione nei confronti della società all'iscrizione in un libro soci cd. facoltativo, mediante un'apposita clausola inserita nell'atto costitutivo.
Al contrario, una recente sentenza del Tribunale di Verona (14 settembre 2009) ha sostenuto il carattere imperativo della norma in tema di soppressione del libro soci, negando pertanto l'ammissibilità della soluzione notarile.
E' evidente, alla luce di quanto detto, che la soluzione della questione verrà dalla giurisprudenza. Ai posteri l'ardua sentenza.

Materiali:
1. Circolare Unioncamere 11 febbraio 2009
2.Circolare Assonime n. 21 - aprile 2009
3.Circolare Istituto di Ricerca dei Dottori Commercialisti - IRDCEC n. 12 -2009
4.Petrelli G., La soppressione del libro soci delle s.r.l., in Le Società, 2009, 4, 425 ss.
5.Studio Consiglio Nazionale del Notariato 71-2009/I 13 marzo 2009 - La soppressione del ibro
soci
6.Massima 115 Consiglio Notarile di Milano
7.Tribunale di Verona, 14 settembre 2009, con nota di Ruotolo M., in Riv. not. 2009

4 gennaio 2010

HOLDINGS - PARTE SECONDA: è ammissibile una holding individuale?

Nel post precedente abbiamo stabilito che le holdings, siano esse pure o operative, sono imprenditori. A questo punto rimane da chiedersi se l'attività di acquisto e gestione di partecipazioni di controllo possa essere esercitata da una persona fisica.
Non si tratta - evidentemente - del caso in cui le azioni della holding siano detenute da un unico soggetto (società unipersonale), ma dell'ipotesi in cui lo schermo societario manchi del tutto, di modo che l'attività imprenditoriale sia svolta direttamente dalla persona fisica.

La questione dell'ammissibilità della holding individuale non deriva, in realtà, da una presunta incompatibilità tra la particolarità dell'attività imprenditoriale e lo svolgimento individuale di essa. Del resto, non esiste alcuna imposizione legislativa in merito alla natura del soggetto che deve esercitare l'impresa-holding, come ad esempio accade per l'attività bancaria.
Il dubbio, dunque, si pone per la difficoltà di ravvisare un'attività organizzata e professionale nella serie di atti, compiuti dalla persona fisica, volti all'acquisto e alla gestione di partecipazioni di controllo.
In buona sostanza, il punto è quello di stabilire il limite oltre il quale l'azionista di riferimento diventa imprenditore-holding.
A parte la difficoltà concreta, nel momento in cui si accerti la sussistenza di tutti i requisiti richiesti dall'art. 2082 c.c., la persona fisica che eserciti attività di holding deve essere qualificata imprenditore (Campobasso, Ferrara-Corsi).
In dottrina, tale conclusione è stata tutt'altro che pacifica fino agli anni '90, quando la nota sentenza Caltagirone (Cass. 26 febbraio 1990, n. 1439) ha stabilito che "In ipotesi di holding di tipo personale, cioè di persona fisica, che sia a capo di più società di capitali in veste di titolare di quote o partecipazioni azionarie, e che svolga professionalmente, con stabile organizzazione, l'indirizzo, il controllo ed il coordinamento delle società medesime (non limitandosi così al mero esercizio dei poteri inerenti alla qualità di socio), la configurabilità di un'autonoma impresa, come tale assoggettabile a fallimento, postula che la suddetta attività, sia essa di sola gestione del gruppo (cosiddetta holding pura), ovvero pure di natura ausiliaria o finanziaria (cosiddetta holding operativa), si esplichi in atti, anche negoziali, posti in essere in nome proprio, quindi fonte di responsabilità diretta del loro autore, e presenti altresì obiettiva attitudine a perseguire utili risultati economici, per il gruppo o le sue componenti, causalmente ricollegabili all'attività medesima." (Massima JurisData Giuffrè)
Ancora, la stessa sentenza ha puntualizzato che "L'attività di direzione e coordinamento di un gruppo di imprese cui sia funzionalizzato l'esercizio dei poteri derivanti dal possesso di uno o più pacchetti azionari, sia essa svolta da una società di capitali, da una persona fisica o da una società di fatto, determina l'acquisto della qualità di imprenditore in capo a chi la eserciti qualora, oltre ad essere qualificata dai requisiti usualmente intesi dell'"organizzazione" e della "professionalità", la stessa sia posta in essere in nome dell'esercente e risulti astrattamente idonea a far conseguire al gruppo vantaggi economici ulteriori rispetto a quelli acquisibili in mancanza dell'opera di coordinamento." (Massima JurisData Giuffrè)

2 gennaio 2010

HOLDINGS - PARTE PRIMA: La holding è un imprenditore?

Uno dei requisiti richiesti dall'art. 2082 c.c. per l'attribuzione della qualifica di imprenditore è lo svolgimento di un'attività economica produttiva. Se per economicità si intende il perseguimento di una finalità produttiva secondo un metodo economico (copertura dei costi tramite i ricavi), il carattere produttivo dell'attività si deve ravvisare non solo nella trasformazione di materie prime volta alla realizzazione di un risultato nuovo e diverso, ma, in generale, in ogni attività che, mediante il compimento di una serie di atti coordinati volti all'impiego organizzato dei fattori produttivi, realizzi la produzione di ricchezza, a prescindere dalla natura del bene o del servizio offerto. Per questo motivo, si esclude unanimemente l'impresa laddove l'attività sia volta al mero godimento o alla semplice amministrazione dei beni.
In quest'ottica, si è a lungo discusso circa l'attribuzione del carattere imprenditoriale, nel senso sopra inteso, all'attività delle cd. holdings. Secondo la definizione di Campobasso, la holding è una società che ha “per oggetto esclusivo l'acquisto e la gestione di partecipazioni di controllo in altre società, con finalità di direzione, di coordinamento e di finanziamento della loro attività”. In buona sostanza, ci si chiede se l'attività della holding, sia essa pura (acquisto e gestione di partecipazioni di controllo) o operativa (direzione, coordinamento e finanziamento dell'attività delle partecipate), presenti i requisiti per l'attribuzione della qualifica di imprenditore.
Sul punto, la dottrina ha tentato in diversi modi di dare risposta positiva al quesito.
1.teoria della finzione di Galgano → esercizio mediato e indiretto di attività imprenditoriale: la holding è impresa perchè, per effetto di una finzione giuridica, il suo oggetto sociale viene a coincidere con quello delle società partecipate;
2.teoria caso “Caltagirone”: la holding è impresa perchè produce servizi di direzione e coordinamento;
3.teoria dell'impresa ausiliaria di Savi: la holding è impresa perchè la sua attività è ausiliaria, ai sensi dell'art. 2195, n. 5 c.c., a quella svolta dalle partecipate;
4.teoria della società di investimento di Zanelli.
A prescindere dalla teoria che si ritiene di condividere, oggi è pacifico, sia in dottrina che in giurisprudenza, che l'attività svolta dalla holding individui un'attività imprenditoriale, in quanto esercizio professionale e organizzato della funzione di direzione e controllo delle società partecipate (Ferrara-Corsi) accompagnato dallo svolgimento di una indispensabile funzione capitalistica (azionista di riferimento).