30 ottobre 2009

I false friends del diritto

Ma le contravvenzioni si pagano?

Giro ai lettori la classica domandina a trabocchetto dell’esame di diritto penale, che di recente ho ritrovato in una rivista di enigmistica e curiosità.
Le contravvenzioni si pagano? Il lettore profano risponderebbe di certo in maniera affermativa. Eppure questo termine, come gli altri che vi propongo nel post di oggi, sono i false friends del diritto. Si tratta di parole che nel linguaggio comune perdono il loro tecnicismo e vengono usate in modo del tutto improprio. Per far indignare quanto basta i giuristi più ortodossi.

Nel diritto penale, la categoria generale dei reati comprende contravvenzioni e delitti. Le contravvenzioni, quindi, non possono essere pagate perché, come dice l'Accademia della Crusca, “contravvenzione è quello che ha commesso, contravvenendo a una norma; non quello che ha pagato”. Ciò che si paga è, in questo caso, l'ammenda e non la multa, che è la sanzione pecuniaria connessa ai delitti.
Rimanendo in tema, ci tengo a precisare che il reato “penale” non esiste. Il reato infatti non può che essere penale, in quanto il nostro ordinamento non conosce il reato civile! L’aggettivo penale non è altro che una scorretta ridondanza.
Anche il termine azienda viene spesso usato impropriamente come sinonimo di impresa. Ma si tratta di due concetti ben distinti. L'azienda, infatti, è il complesso di beni che l’imprenditore organizza professionalmente ed utilizza nello svolgimento di un'impresa, intesa come attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.
Il compromesso immobiliare, che molti credono di firmare nelle fasi di acquisto di una casa, è una figura sconosciuta al diritto. Si tratterà, piuttosto, di un contratto preliminare, in questo caso di compravendita, ovvero di un contratto che obbliga le parti a stipulare un contratto definitivo entro un certo periodo di tempo e che consente ad esse, nel lasso di tempo intercorrente, di poter meglio valutare l’affare o semplicemente di rinviare la stipula ad un momento successivo.
In tempi di crisi, però, è più frequente che la casa si prenda in affitto, o meglio, in locazione. L’affitto, infatti, riguarda i soli beni produttivi.

E, per pietà, basta parlare del giudizio in Cassazione come terzo grado di giudizio. La Cassazione è un giudizio di legittimità, mentre i gradi di giudizio sono e restano due.

23 ottobre 2009

Colloqui Baresi di Diritto Commerciale

Colloqui Baresi di Diritto Commerciale
Qualche giorno fa, su Facebook, discutevo con alcuni colleghi della formazione professionale. Tanti ne sostengono l'inutilità, io dico che basta scegliere l'evento giusto.
Come quello che propongo oggi.
Dopo gli "Incontri" foggiani, domani tocca a Bari con i Colloqui di Diritto Commerciale.
Un'altra occasione - tutta pugliese - per ascoltare GRATUITAMENTE relatori del calibro di Giuseppe Ferri jr., Niccolò Abriani o Marco Spolidoro . Se questa non è formazione...
Di seguito il programma:
L'incontro di domani verterà sulla nuova disciplina dei conferimenti in natura, così come riformata dal D.lgs. 142/2008.

21 ottobre 2009

Ubi Champions ibi ius

La prestazione di un calciatore integra un'obbligazione di mezzi o di risultato?
Il Milan mi ha chiesto una consulenza dopo la papera di Dida...

Usufrutto legale e costituzione di usufrutto

Pensieri sparsi – Alienazione di beni di minore in potestate, usufrutto legale, costituzione di usufrutto.

Il minore Tizietto, sottoposto alla potestà dei genitori, è proprietario di un bene immobile. Detto bene è gravato dall'usufrutto legale ai sensi dell'art. 324 c.c..
Il signor Caio propone ai genitori di Tizietto di acquistare l'immobile ad un prezzo interessante, che provvederà a pagare interamente in contanti. Tuttavia, vorrebbe che il diritto di usufrutto sia intestato a suo figlio Caietto.

a) vendita di beni appartenenti a minore in potestate
La vendita di beni appartenenti a minori in potestate è regolata dall'art. 320 c.c.. Al comma terzo si legge infatti, che gli atti di straordinaria amministrazione compiuti dal genitore devono:
-rispondere ad esigenze di necessità o utilità evidente del figlio
-essere autorizzati dal giudice tutelare del luogo in cui il minore ha domicilio.
Se, dunque, la vendita di per sè non trova ostacoli legislativi, a parte la necessità dell'autorizzazione del giudice tutelare, non può dirsi lo stesso per l'intestazione dell'usufrutto a favore del figlio dell'acquirente Caio.

b) indisponibilità assoluta dell'usufrutto legale
L'art. 326 c.c. sancisce un divieto assoluto di alienazione, di pegno, di ipoteca e di esecuzione da parte dei creditori relativamente all'usufrutto legale. L'indisponibilità del diritto che deriva dalla norma, impedisce, almeno in prima approssimazione, di realizzare la volontà dell'acquirente.
Un eventuale atto di disposizione sarebbe, dunque, sostanzialmente nullo per violazione di norma imperativa (art. 1418) e non semplicemente annullabile, come ha ritenuto invece Cass. 6 aprile 1970, n. 932.
Oltretutto, la possibilità di disporre del solo usufrutto legale è da escludere non solo per l'espresso divieto normativo, ma anche per ragioni di carattere logico.
Sebbene autorevole dottrina [BIANCA, PUGLIESE] abbia ritenuto che l'usufrutto legale sia assimilabile all'usufrutto ordinario, con conseguente applicabilità della relativa disciplina ove compatibile, sembra più convincente la posizione di quegli autori [per tutti, PELOSI] che negano all'usufrutto legale la natura di diritto reale di godimento.
La ratio sottesa all'istituto è, infatti, quella di assicurare le esigenze della famiglia nel suo complesso, e non già l'interesse individuale del minore o dei genitori, come dimostra, appunto, il regime di indisponibilità di cui all'art. 326 c.c..
L'usufrutto legale sarebbe, piuttosto, uno dei poteri-doveri connessi alla potestà genitoriale e, quindi, un ufficio di diritto privato del quale non è possibile disporre.

c)tentativo di soluzione
Sebbene non sia possibile trasferire l'usufrutto legale, è vero anche che la perdita del bene da parte del minore per qualsiasi ragione ne determina l'estinzione. In buona sostanza, la vendita del bene non avrà ad oggetto una nuda proprietà (visto che l'usufrutto legale non è un diritto reale che grava su di essa ma un mero potere) bensì la proprietà piena. L'acquirente, pertanto, potrà costituire a favore del figlio un diritto di usufrutto ordinario sia contestualmente all'acquisto che con atto successivo.

L'indegnità deve essere pronunciata con sentenza costitutiva su domanda dell'interessato

L'indegnità deve essere pronunciata con sentenza costitutiva su domanda dell'interessato.
Cassazione civile , sez. II, 05 marzo 2009 , n. 5402

(pubblicata su Altalex)


I quesiti:
-In che modo opera l'indegnità?
-Può il giudice dichiarare l'indegnità d'ufficio?
-Qual è la natura della sentenza che pronuncia l'indegnità?

Il caso in sintesi:
Tizio, Caio e Sempronio convenivano davanti al Tribunale di Pinerolo Mevio al fine di sentire:
a) dichiarare la nullità del testamento olografo di Filana (sorella del defunto genitore), eccependone la falsità, con il quale Mevio veniva istituito erede universale;
b) accertare che, pertanto, l'eredità di Filana si era devoluta per legge in parti uguali tra loro;
c)condannare il convenuto a consegnare i beni caduti in successione con i relativi frutti, nonchè a rendere il conto della gestione.
A seguito delle risultanze della CTU, il giudice adito dichiarava la nullità del testamento olografo di Filana e l'indegnità del convenuto Mevio nei confronti della stessa.
Mevio proponeva gravame in appello, eccependo, inter alia, l'impossibilità di una pronuncia di indegnità d'ufficio, mancando, all'uopo, una domanda di parte attorea. La Corte di Appello di Torino accoglieva la domanda.
La parte appellata ricorreva in Cassazione per violazione e falsa applicazione dell'art. 463 c.c., per avere il giudice d'appello ritenuto che non poteva essere dichiarata d'ufficio l'indegnità di Mevio.

La questione sottoposta al Supremo Collegio
La sentenza in oggetto si innesta nell'ambito della disputa dottrinaria circa la natura giuridica dell'indegnità. Da un lato, autorevole dottrina [ CICU, GROSSO BURDESE, FERRI, BIANCA, PRESTIPINO] ha ritenuto che l'indegnità configuri un'incapacità relativa a succedere; dall'altro, si è sostenuto [COVIELLO, RUPERTO, AZZARITI, PALAZZO, BONILINI] che l'indegno non sia in realtà incapace di succedere, bensì sia escluso dalla successione [potest capere sed non potest retinere].
I sostenitori della prima tesi ritengono che l'indegnità operi ipso iure impedendo la delazione, con la conseguenza che una eventuale sentenza avrebbe carattere meramente dichiarativo.
Al contrario, configurando l'indegnità come un'ipotesi di esclusione dalla successione, l'indegno è pur sempre destinatario di una delazione e, a seguito della sua accettazione, acquista la qualità di erede, qualità che, tuttavia, perde a seguito della sentenza del giudice (retroattiva). Pertanto, l'indegnità opera solo officio iudicis, a seguito di una sentenza costitutiva pronunciata a seguito dell'azione promossa dagli interessati.

La soluzione della Corte di Cassazione
La pronuncia della Corte sembra sintetizzare le posizioni espresse dalla dottrina. Se, infatti, da un lato ha ritenuto che l'indegnità a succedere operi ipso iure, dall'altro ha precisato che il giudice non possa pronunciarla d'ufficio, occorrendo, a tal fine, una sentenza costitutiva su domanda del soggetto interessato.

Le norme di riferimento

Art. 463.
Casi d'indegnità.
E' escluso dalla successione come indegno:
1) chi ha volontariamente ucciso o tentato di uccidere la persona della cui successione si tratta, o il coniuge, o un discendente, o un ascendente della medesima, purché non ricorra alcuna delle cause che escludono la punibilità a norma della legge penale;
2) chi ha commesso, in danno di una di tali persone, un fatto al quale la legge [penale] (1) dichiara applicabili le disposizioni sull'omicidio;
3)chi ha denunziato una di tali persone per reato punibile [con la morte,] (1) con l'ergastolo o con la reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a tre anni, se la denunzia è stata dichiarata calunniosa in giudizio penale; ovvero ha testimoniato contro le persone medesime imputate dei predetti reati, se la testimonianza è stata dichiarata, nei confronti di lui, falsa in giudizio penale;
3-bis) chi, essendo decaduto dalla podestà genitoriale nei confronti della persona della cui successione si tratta a norma dell'articolo 330, non è stato reintegrato nella podestà alla data di apertura della successione della medesima. (2)
4)chi ha indotto con dolo o violenza la persona, della cui successione si tratta, a fare, revocare o mutare il testamento, o ne l'ha impedita;
5)chi ha soppresso, celato o alterato il testamento dal quale la successione sarebbe stata regolata;
6) chi ha formato un testamento falso o ne ha fatto scientemente uso.

(1) Parole soppresse dalla Legge 8 luglio 2005, n. 137.
(2) Numero inserito dalla Legge 8 luglio 2005, n. 137.

20 ottobre 2009

Accrescimento e successione necessaria

L’istituto dell’accrescimento non opera nell’ambito della successione necessaria
(Cass. S.U. 12 giugno 2006, n. 13524)


I quesiti:
La disciplina dell’accrescimento, dettata in materia di successione testamentaria, trova applicazione nell’ambito della successione necessaria?
In che modo si calcola la quota di riserva spettante ai legittimari in caso di rinunzia all’azione di riduzione da parte degli altri?

Il caso:
B.L., madre di C.M., C.T. e C.V., ha venduto al figlio C.V. la nuda proprietà di un immobile costituente il suo intero patrimonio. Alla morte di B.L., la figlia C.M., ritenendo siffatta compravendita una donazione dissimulata, conviene in giudizio il fratello C.V. eal fine di ottenere la riduzione della donazione lesiva della sua quota di legittima.
Accertato nel merito il carattere donativo dell’atto perfezionato dalla defunta B.L. con il figlio C.V. (nella fattispecie si trattava di un negotium mixtum cum donatione) , si deve quantificare la quota di riserva spettante alla figlia C.M. tenendo presente che B.L., morta ab intestato, aveva tre figli, ma uno di essi, C.T., le è premorto, lasciando a succederle per rappresentazione alla madre i figli E., A. e K.M.R.. In sostanza, si deve stabilire se la quota pari ai 2/9 in teoria spettante a E., A. e K.M.R. per rappresentazione (2/3 diviso per i tre figli) si accresce in favore delle quote di C.M. e C.V. nel caso in cui E., A. e K.M.R. non vengano alla successione e, quindi, rinunzino ad agire in riduzione.
Avendo la Corte d’Appello risposto negativamente al quesito, C.M. ricorre in Cassazione e la questione viene rimessa alle Sezioni Unite “in considerazione del fatto che ai fini della decisione occorre risolvere alcune questioni di particolare rilevanza giuridica, cui la dottrina da contrastanti soluzioni e che non sono state affrontate ex professo” dalla Corte.


Inquadramento della questione esaminata dal Supremo Collegio:
Le Sezioni Unite sono chiamate a dirimere il contrasto giurisprudenziale relativo alla determinazione della quota di riserva di uno del legittimari nel caso in cui uno degli altri legittimari che con lui concorrono nell’eredità rinunzi all’azione di riduzione.
Secondo un primo orientamento (1) (Cass., 24 gennaio 1957, n. 221; Cass., 26 ottobre 1976, n. 3888) la quota del legittimario rinunziante si accresce in favore degli altri legittimari. Ai fini del calcolo della legittima si deve tenere presente, infatti, la situazione esistente al momento dell’apertura della successione (cfr. art. 537 c.c. “se il genitore lascia”), cioè il numero dei chiamati e non di coloro che vengono effettivamente alla successione. Poiché la successione necessaria è considerata species del genus successione legale, ad essa si applicherà analogicamente l’art. 522, che prevede l’accrescimento nella successione legittima.
Un secondo orientamento (2) (Cass., 11 maggio 1962, n . 949; Cass., 9 marzo 1987, n. 2424; Cass., 11 febbraio 1995, n. 1529) ritiene, al contrario, che, alla luce della retroattività della rinunzia (cfr. art. 521 c.c.), il rinunziante si consideri come se non fosse stato mai chiamato alla successione. Pertanto, per il calcolo della quota si deve far riferimento alla situazione concreta degli eredi legittimi che effettivamente concorrono alla ripartizione dell’asse ereditario. In conseguenza della rinunzia, quindi, si determina non già un accrescimento in senso tecnico, ma piuttosto un incremento della quota derivante dal mero ricalcolo delle quote di riserva secondo le regole degli artt. 537 e 542 c.c. (principio della quota mobile).


La posizione delle Sezioni Unite
Con la pronuncia in questione, la Corte di Cassazione aderisce alla prima tesi per quanto riguarda il momento in cui determinare la quota di riserva, tuttavia se ne discosta per quanto concerne l’operatività dell’accrescimento.
Ecco, in sintesi, le conclusioni:

1.La determinazione della quota di riserva deve avvenire in base alla situazione esistente al momento dell’apertura della successione, senza, dunque, considerare gli accadimenti successivi, perché in tal senso sembra deporre l’espressione “lascia” di cui all’art. 537 c.c.;

2.Nella successione necessaria non opera l’accrescimento perché non ne sussistono i presupposti (chiamata congiuntiva, presunta volontà del testatore, incertezza sulle sorti della quota che rimane in capo ai donatari, eredi o legatari cui il testatore ha attribuito più di quanto poteva disporre).

18 ottobre 2009

Metti una sera a Foggia - Incontri di diritto commerciale

L'aggiornamento professionale del giurista spesso soffre in Puglia della carenza di eventi formativi di spessore, complice anche l'assenza di un collegamento costruttivo con le strutture universitarie.

Gli "Incontri di Diritto Commerciale" della Facoltà di Economia dell'Università di Foggia sono la piacevole eccezione (non l'unica, per fortuna) che conferma la regola.

Relatori di rilievo e uno staff organizzativo giovane e motivato sono gli ingredienti base di questo interessante contenitore giuridico.

Per il programma e ulteriori dettagli:


Perché l'Officina

Entro con emozione nel suo studio. Io giovane apprendista, lui giurista colto e di raffinato intelletto. "Presidente, la ringrazio di avermi permesso di frequentare le sue lezioni". E lui, con il suo solito sorriso scanzonato: "Lezioni?Io non faccio lezione. Questa è un'officina!"

Tanti strumenti, un banco da lavoro, mani esperte ed operose.

Ecco, L'Officina del Diritto.